Casalesi, Monaco tace dal giudice
L’uomo che lavora nella ricostruzione è indagato a Caserta. Resta insoluto il giallo della pistola
L’AQUILA. Fabio Monaco, il 39enne di Casal di Principe, bloccato dai carabinieri per un tentato omicidio commesso nel Casertano, persona ritenuta contigua al clan dei Casalesi, è comparso ieri mattina davanti al giudice per le indagini preliminari del tribunale dell’Aquila Giuseppe Romano Gargarella per l’interrogatorio di garanzia. Si è trattato poco più di una formalità visto che il sospettato, assistito da un avvocato di fiducia, si è avvalso della facoltà di non rispondere. L’interrogatorio è stato fatto per rogatoria visto che sul caso procedono la Direzione distrettuale antimafia di Napoli e i carabinieri della stazione di Caserta. L’uomo, insieme a un complice, rinchiuso nel carcere di Cuneo, è accusato di un tentato omicidio nell’ambito di uno scontro tra clan rivali, commesso nel 2001 ed è finito nei guai dopo le dichiarazioni di un pentito. È stato bloccato all’Aquila visto che è impegnato con altre maestranze campane in un cantiere della ricostruzione che si trova in centro storico. Il sospettato, tra l’altro, è anche titolare di una sua impresa edile dopo un passato di muratore.
L’uomo è stato portato in cella grazie alle dichiarazioni di un pentito e, diversamente, nessuno si sarebbe accorto della sua presenza nel cantiere. A questo punto è lecito chiedersi se nell’ambito dei tanti cantieri privati aperti per la ricostruzione, nonostante gli indubbi controlli, peraltro molto frequenti, coordinati dalla prefettura e svolti dalle forze dell’ordine, ci possano essere anche altri personaggi di dubbia fama come il 39enne campano che, tra l’altro, si era trasferito da tempo a Sant’Agata Bolognese.
Ma il fatto inquietante è la pistola che gli è stata trovata in occasione della perquisizione, una calibro 9 di fabbricazione ceca con il numero di matricola cancellato. All’uomo è stata contestata anche la detenzione illegale della pistola e di 50 proiettili oltre alla ricettazione di arma munizioni.
Le indagini dei carabinieri dell’Aquila puntano adesso a capire la provenienza dell’arma tramite un controllo chimico e balistico. Interessa capire a chi la pistola sia stata sottratta e se sia stata già adoperata per commettere un delitto. Un tema molto scottante visto gli investigatori, già da tempo, con l’arrivo incontrollato di tanta gente (anche dall’estero) per la ricostruzione, temono che all’Aquila ci sia una circolazione molto pericolosa di armi rubate con una potenziale crescita di fenomeni malavitosi che finora sono stati sconosciuti nel territorio del capoluogo di regione.
Dietro presenze poco gradite, talvolta scoperte incidentalmente, c’è anche un mare di furti che sono stati commessi da stranieri. Molte di queste persone, per lo più romene, lavorano nella ricostruzione come si è appurato dopo i loro arresti.
Esiste poi il fenomeno di malviventi appartenenti a bande provenienti da Campania, basso Lazio e anche da Roma, che arrivano in città dopo sopralluoghi, depredano cantieri e case inagibili per poi fuggire.
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