Chiese e opere d’arte sotto la pioggia
Danni da maltempo a otto mesi dal sisma, così i centri storici cadono in rovina.
L’AQUILA. Una pioggia fitta e incessante si è abbattuta per ore sulla città. È caduta sui nuovissimi edifici del progetto Case, sui moduli abitativi dei paesi del circondario, ma anche, soprattutto, sui resti degli edifici storici e sulle chiese del centro, quasi tutti senza copertura. L’acqua si è infiltrata tra le crepe, ha bagnato pavimenti, pareti e qualche opera d’arte rimasta tra le macerie. Una scena che si ripeterà ancora chissà quante volte durante l’inverno. E così ciò che si è salvato dal terremoto, rischia di cedere alle intemperie. Perché l’acqua e il vento, si sa, sono i peggiori nemici delle opere d’arte. I lavori per la messa in sicurezza del centro vanno avanti dal sei aprile. Molto è stato fatto, ma moltissimo è ancora da fare. Di puntellamenti, per evitare il crollo degli edifici, è piena la città.
Ma i tetti, quelli che col terremoto sono venuti giù, in gran parte non sono ancora stati sostituiti, neanche da strutture provvisorie. Di coperture, infatti, non ne sono state fatte molte, almeno per il momento. E l’inverno è alle porte. La situazione, che mette a rischio tutto il centro storico, è stata denunciata ieri da una articolo sul quotidiano nazionale L’Unità. Nell’editoriale, lo scrittore e giornalista Vittorio Emiliani dice: «L’Aquila, addio». Dove L’Aquila vuol dire centro storico. «Chiese ancora scoperchiate», è scritto nel pezzo, «palazzi esposti alle intemperie, arredi lasciati a lungo sotto le macerie oppure tirati via maldestramente da volontari inesperti e malguidati». Un quadro non molto lontano dalla realtà. «Stiamo realizzando le coperture in questi giorni», si giustifica il vicecommissario per i Beni culturali della Protezione civile, Luciano Marchetti.
Intanto, il transetto di Collemaggio non c’è più e quello che resta della chiesa è esposto quotidianamente alle intemperie. Mentre l’organo è ormai diventato solo un pezzo di antiquariato: lo ha piegato l’acqua e non è più utilizzabile. «La basilica è stata ripulita all’interno e sgomberata dalle opere d’arte», continua Marchetti, «alla copertura penseremo presto». Non molto differente la situazione di Santa Maria Paganica: la chiesa è senza tetto e si stanno estraendo le macerie in questi giorni. «Se la coprissimo», spiega il vicecommissario, «le gru non potrebbero lavorare». Per il Duomo i tempi previsti sono ancora più lunghi. «Il costo dell’intervento è molto alto, così abbiamo dovuto indire una gara d’appalto per la messa in sicurezza», dice Marchetti, «le opere d’arte sono state rimosse ed è stato asportato il soffitto a finta cupola».
Intanto ci piove dentro. Il tetto di San Bernardino è uno dei pochi ad aver retto al terremoto. «Ci sono tuttavia delle infiltrazioni d’acqua che verranno presto messe a posto», continua il vice di Bertolaso. Si sta ultimando la copertura di San Pietro, mentre San Vito guarda ancora le 99 cannelle senza un pezzo: il terremoto gli ha cancellato tutta la parte superiore. Anche per gli edifici privati è stato fatto ben poco: la zona rossa è off limits e, tranne qualche puntellamento, non è possibile fare nient’altro.
Ma i tetti, quelli che col terremoto sono venuti giù, in gran parte non sono ancora stati sostituiti, neanche da strutture provvisorie. Di coperture, infatti, non ne sono state fatte molte, almeno per il momento. E l’inverno è alle porte. La situazione, che mette a rischio tutto il centro storico, è stata denunciata ieri da una articolo sul quotidiano nazionale L’Unità. Nell’editoriale, lo scrittore e giornalista Vittorio Emiliani dice: «L’Aquila, addio». Dove L’Aquila vuol dire centro storico. «Chiese ancora scoperchiate», è scritto nel pezzo, «palazzi esposti alle intemperie, arredi lasciati a lungo sotto le macerie oppure tirati via maldestramente da volontari inesperti e malguidati». Un quadro non molto lontano dalla realtà. «Stiamo realizzando le coperture in questi giorni», si giustifica il vicecommissario per i Beni culturali della Protezione civile, Luciano Marchetti.
Intanto, il transetto di Collemaggio non c’è più e quello che resta della chiesa è esposto quotidianamente alle intemperie. Mentre l’organo è ormai diventato solo un pezzo di antiquariato: lo ha piegato l’acqua e non è più utilizzabile. «La basilica è stata ripulita all’interno e sgomberata dalle opere d’arte», continua Marchetti, «alla copertura penseremo presto». Non molto differente la situazione di Santa Maria Paganica: la chiesa è senza tetto e si stanno estraendo le macerie in questi giorni. «Se la coprissimo», spiega il vicecommissario, «le gru non potrebbero lavorare». Per il Duomo i tempi previsti sono ancora più lunghi. «Il costo dell’intervento è molto alto, così abbiamo dovuto indire una gara d’appalto per la messa in sicurezza», dice Marchetti, «le opere d’arte sono state rimosse ed è stato asportato il soffitto a finta cupola».
Intanto ci piove dentro. Il tetto di San Bernardino è uno dei pochi ad aver retto al terremoto. «Ci sono tuttavia delle infiltrazioni d’acqua che verranno presto messe a posto», continua il vice di Bertolaso. Si sta ultimando la copertura di San Pietro, mentre San Vito guarda ancora le 99 cannelle senza un pezzo: il terremoto gli ha cancellato tutta la parte superiore. Anche per gli edifici privati è stato fatto ben poco: la zona rossa è off limits e, tranne qualche puntellamento, non è possibile fare nient’altro.