Cialente: Chiodi ha fallito ricostruiamo da soli
Il primo cittadino: adesso il governo deve capire che la Regione e il commissario hanno sbagliato /l'intervista
Sindaco Cialente, che cosa non la convince del piano Barca?
«Inaspettatamente, venerdì, nel documento di Barca, al di fuori di quelli che erano stati gli accordi, è comparso di nuovo un richiamo alla Regione Abruzzo, a quella Regione cioè che non è stata capace di risolvere nulla, sia sul piano del controllo delle risorse finanziarie in cui l’apparato amministrativo si è incartato, tanto che non riesca ancora a pagare gli alberghi, sia soprattutto perché è rispuntato fuori il riferimento a una struttura di consulenza per la ricostruzione».
Cosa c’è che non va in questo?
«C’è che noi non abbiamo bisogno di alcuna struttura di consulenza. L’esperienza di questi tre anni ha dimostrato che la struttura commissariale regionale ha fallito. La Regione non ha fatto nulla per la ricostruzione della sua città capoluogo, se non una leggina per distribuire i 9 milioni di euro raccolti grazie alla solidarietà degli italiani e che, fra l’altro, non vengono ancora distribuiti. Per questo si è decisa la fine del commissariamento e delle sue strutture di gestione della ricostruzione. A questo punto, però, temo che si voglia far rientrare dalla finestra ciò che si è fatto uscire dalla porta. Non è un caso che, in questi giorni in cui si sta decidendo la fine del commissariamento entro la fine del mese di giugno, Chiodi abbia fatto tre decreti che riorganizzano l’Urc, l’Ufficio di coordinamento della ricostruzione: è la prova della volontà del presidente della Regione di continuare ad avere voce in capitolo sulla ricostruzione».
Perché Chiodi vorrebbe continuare ad avere voce in capitolo in questo campo?
«Perché c’è la campagna elettorale alle porte e bisogna evidentemente mantenere al loro posto una serie di persone, per esempio, quelle della struttura regionale di missione. Ora, su questo io non avrei nulla in contrario se non fosse che questi signori hanno già fallito. La perdita di tempo di questi ultimi due anni è riconducibile proprio a loro. Squadra che perde si cambia. Il governo Monti, a questo punto, deve prendere atto che qui all’Aquila c’è stata una campagna elettorale in cui ci siamo contrapposto io e De Matteis. Lui voleva che la struttura di gestione gestisse la ricostruzione ed era a favore del commissariamento. io ero e sono per l’esatto contrario, cioè per la fine del commissariamento e della struttura tecnica di gestione. Io ho vinto la campagna elettorale esattamente per questo. Ora il governo di queste cose deve prendere atto. Non si può far finta di niente per salvaguardare certi equilibri politici nazionali. Deve prendere atto, il governo, che la Regione Abruzzo non ce l’ha fatta. Ora facciamo noi. Il coordinamento politico, naturalmente, è un’altra cosa. Alla Regione spetta il compito di cominciare a fare una politica regionale per la ricostruzione, quella sì. Ma una struttura tecnica di consulenza per la ricostruzione, quella non ci serve affatto. Facciamo noi. Io mi assumo una responsabilità precisa».
Quale?
«Questa: se sbaglio nel giro di un anno, vado via. La partita passa nelle mani del Comune dell’Aquila e degli altri Comuni. Mentre loro, il governo regionale, ci hanno messo tre anni, noi invece chiediamo un solo anno di prova durante il quale siamo certi di riuscire a fare delle cose a patto che il governo ci dia strumenti per affrontare la ricostruzione»..
E che vi liberi dal commissario?
«Non è che io non voglia Chiodi. Quello che non voglio è la Regione perché, in questi tre anni, si è rivelata - dal presidente alla giunta alla struttura burocratica e amministrativa - completamente assente e quando è intervenuta è stata un fallimento. La Regione mi sta bloccando i finanziamenti. Sto impazzendo. Per il quarto anni di seguito, il giorno dei defunti in novembre, corro il rischio di vedere ancora le bare fuori dai loculi del cimitero. Questa è una storia esemplare».
Perché?
«Ci sono 5 milioni di euro per rifare il cimitero. Ho fatto il progetto preliminare, ma non mi dànno i soldi se non presento il progetto definitivo. Ma per farlo devo dare l’incarico e per poterlo fare devo avere la copertura finanziaria che non posso avere perché sto senza bilancio. Quindi sono bloccato».
Torniamo al suo anno di prova: quali sono le cose che, se non riuscisse a realizzarle, la indurrebbero a lasciare l’incarico di sindaco?
«Tre cose. La prima. Entro la fine del 2013, al massimo per gli inizi del 2014, e con l’aiuto di norme che chiederò siano molto restrittive, anche sui tempi di esecuzione dei lavori, nei confronti delle imprese, devono essere terminate tutte le case della periferia della città; devono rientrare in casa fra 18mila e 20 mila persone. La seconda. Entro la primavera del 2013 deve partire la ricostruzione del centro storico cominciando dall’asse centrale, così come ha deciso all’unanimità il consiglio comunale dell’Aquila. Terza cosa. Entro il 2013 devono essere ricostruiti gli uffici pubblici nel centro della città. Questo vuol dire che, per la fine del 2015, gran parte del centro storico deve essere percorribile. Per la primavera del 2016 i portici dovranno essere riaperti. Su questo non ci deve piovere».
Il rapporto umano con Chiodi, in questi anni, com’è stato?
«Dal punto di vista umano, ottimo. Lui stesso ha capito, credo, che il suo commissariamento è stato un insuccesso. Lui vuole assolutamente lasciare al suo posto il gruppo dell’architetto Fontana, mio amico personale, ma che si è rivelato non adatto a questo tipo di lavoro. Ma gli aquilani hanno votato e hanno detto no, che basta, che questi qui non li vogliamo più, che vogliamo fare da soli. Io ho vinto le elezioni con il 60 per cento dei voti perché dicevo queste stesse cose. Vogliamo ricostruire noi la città perché abbiamo capito che, se non ce la facciamo noi, non ce la fa nessuno».
Sente ancora intorno all’Aquila la solidarietà dell’Abruzzo?
«Quella che non sento più è la solidarietà del Paese che va scemando. Adesso c’è la vicenda del terremoto in Emilia e non ci si rende conto della situazione in cui ci troviamo noi. Qui è tutto fermo. Rispetto ad altri post-terremoti, siamo condannati a correre. Abbiamo ancora 18 mila persone sfollate che io stesso , a volte, non so dove stiano. Non lo so dove sta questa povera gente, se a milano o a Roma o all’Aquila da qualche parte. Sì abbiamo case belle per 18 mila persone, ma le altre 18 mila persone non hanno ancora niente».
La solidarietà dell’Abruzzo è venuta meno?
«La politica regionale è assente, se si tolgono gli sforzi di Legnini e di Lolli. Cosa ha fatto il consiglio regionale in questi anni? Si è sforzato, per caso, qualcuno di chiamarmi per chiedere, che so?, hai bisogno di una legge urbanistica? Costantini, per esempio, quando ha parlato dell’Aquila lo ha fatto solo per attaccare me e il Comune».
Giovedì prossimo saranno all’Aquila il presidente Napolitano e il premier Monti: ha qualcosa da chiedere a loro?
«Chiedo loro di dare al Comune dell’Aquila, che si trova in una situazione post-bellica, di avere un Piano Marshall normativo che ci metta in condizione di operare. Dirò loro: non ci dimenticate perché la nostra tragedia è una tragedia italiana senza precedenti».
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