Crollo casa studente L'Aquila, parlano i sopravvissuti: "Siamo vittime dello Stato"
L’avvocato Della Vigna: ora citeremo in giudizio Regione e Adsu anche loro responsabili della morte degli otto ragazzi sotto le macerie
L’AQUILA. «I ragazzi che il 6 aprile del 2009 sono morti sotto le macerie della Casa dello studente non sono state vittime del terremoto. Sono deceduti per responsabilità umana».
Dopo la sentenza in primo grado, con 3 condanne a quattro anni e una a 2 anni e sei mesi, pronunciata dal giudice Giuseppe Grieco sabato pomeriggio, l’avvocato Wania Della Vigna, avvocato di parte civile, ribadisce il principio che sta alla base del processo per il crollo dell’edificio diventato uno dei simboli del sisma. «Accertare la verità, individuare le responsabilità che hanno portato l’edificio a crollare come un castello di carta», dice l’avvocato, che difende 4 ragazzi superstiti della Casa dello studente e i familiari dello studente arabo-israeliano deceduto sotto le macerie Hussen «Michelone » Hamade. «Responsabilità che sono della Regione e dell’Adsu», spiega Della Vigna. Il processo, insomma, è destinato ad avere un seguito. «Si andrà avanti. E stavolta, a essere citate in un’azione civile, saranno la Regione (proprietaria dello stabile) e l’Adsu (l’Azienda per il diritto agli studi universitari), come custode». Responsabilità che l’Adsu si dice «pronta ad assumersi, se la magistratura le accerterà». «La Regione era stata citata, insieme all’Adsu, come responsabile civile», spiega Della Vigna, «ma gli imputati hanno scelto il rito abbreviato. Pertanto sono state estromesse da questo procedimento. Adesso possiamo cominciare con un’azione civile. In base alle leggi», prosegue l'avvocato, «il proprietario di un immobile è tenuto a garantirne la stabilità. E se la struttura subisce un crollo, il proprietario deve risarcire i danni, che possono essere patrimoniali e non, esistenziali e biologici». La Regione deve, dunque, rispondere dei danni cagionati «perché è proprietaria della struttura studentesca di via XX Settembre», aggiunge l’avvocato. Non si tratta di vendetta, o di volontà di ricevere un «ristoro materiale» per ragazzi che porteranno per sempre i segni della tragedia del sisma. «Si tratta si accertare le responsabilità degli individui», ribadisce l’avvocato. «Soggetti che avevano un preciso ruolo e avrebbero dovuto chiedere di sgomberare la casa, già da tempo interessata da lesioni a causa dello sciame sismico», come ha sostenuto Liliana Centofanti, la sorella di Davide (uno dei giovani deceduti), il giorno della sentenza. «La preoccupazione delle persone che io difendo», aggiunge l’avvocato, «è di accertare la verità dei fatti». Ora esiste una verità processuale, «che non riporterà in vita i ragazzi, ma impone una riflessione profonda». I quattro giovani superstiti del crollo della Casa dello studente (Ana Paola Fulcheri, Stefania Cacioppo, Cinzia Di Bernardo e Hisham Shahim), intanto, preferiscono non parlare. Farlo, per loro, significa risvegliare il trauma vissuto quasi 4 anni fa, quando vennero estratti vivi dalle macerie. Lo hanno fatto, alcuni giorni prima della sentenza, attraverso una lettera. «Ci sentiamo vittime dello Stato», hanno scritto nella nota letta da Della Vigna nell’arringa durante l’ultima udienza. «Vittime della Regione, di chi non ha saputo tutelare noi studenti. Siamo fuggiti alla morte, e adesso abbiamo il dovere morale di essere testimoni di quanto è accaduto, sperando di trovare almeno la verità e quella parte di giustizia che è riconosciuta agli uomini, perché altri genitori, in futuro, non piangano più per i loro figli».
Marianna Gianforte
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