Crollo con 13 vittime, processo da rifare

Annullata la condanna dell’ingegnere Cimino: atti alla Corte d’Appello di Perugia. Le parti civili: «Per noi un’atroce beffa»

L’AQUILA. La Cassazione, con una sentenza choc per le parti civili, annulla con rinvio la condanna per il crollo del palazzo di via D’Annunzio, dove morirono 13 persone, e manda gli atti a Perugia per un nuovo processo. Una pronuncia gradita all’imputato, l’ingegnere Fabrizio Cimino, che ha sempre professato la sua innocenza, e al suo legale Stefano Rossi, ma le parti civili temono che non ci siano i tempi tecnici per un processo bis, visto che si dovrebbe prescrivere il 6 ottobre 2016 e al momento mancano due gradi di giudizio: la decisione dei giudici di Perugia e di nuovo la Cassazione. Fermo restando che un’ipotetica prescrizione non blocca le azioni risarcitorie. Ma questo alle parti civili non basta. Per loro è un’«atroce beffa». Cimino, nel processo di primo grado, era stato condannato a tre anni e mezzo ma in appello la pena era stata ridotta a un anno e dieci mesi. Ieri il Pg della Cassazione aveva chiesto al collegio di respingere il ricorso di Rossi e di confermare la condanna di secondo grado. Poi, intorno alle 21, la lettura della sentenza che rimette tutto in gioco. La reale ragione di questa decisione la si potrà conoscere quando saranno rese note le motivazioni. Va però fatta una considerazione: l’avvocato Rossi non ha chiesto una rideterminazione della pena per cui l’annullamento non riguarda questo aspetto ma, al contrario, ci dev’essere qualche censura sulle motivazioni che hanno portato alla condanna del tecnico in primo e secondo grado.

Ecco come si è arrivati all’incriminazione di Cimino. Il progetto originario del palazzo in cemento armato, redatto nel 1961, era viziato da gravissimi errori di costruzione, per cui sarebbe comunque crollato a causa del sisma.

Ma, nel progettare alcuni lavori di ristrutturazione dei pilastri, effettuati 15 anni fa, Cimino, ingegnere di 55 anni, avrebbe commesso delle omissioni. A suo carico, secondo l’accusa, trattandosi di manutenzione straordinaria, ci sarebbe stata la mancata valutazione delle condizioni di staticità del palazzo. Avrebbe avuto l’obbligo, secondo Procura e parti civili, di esaminare il complesso della realtà statica e avrebbe potuto capire come la situazione fosse problematica scongiurando la morte di tante persone. Insomma, non sarebbero stati fatti dei calcoli da parte del tecnico che è stato individuato come figura di garanzia. Rossi, per contro, ha sempre sostenuto che quegli oneri non ricorressero per il suo assistito. E oggi, sempre al Palazzaccio, ci dovrebbe essere la sentenza sul crollo della Casa dello studente.

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