Curia, in 10 anni debiti per milioni
La società Aquilakalo's ha rilevato le passività ed evitato la bancarotta
L'AQUILA. Una società, nata subito dopo il terremoto, per la ricostruzione e il restauro dei beni ecclesiastici danneggiati, e che alla fine ha dovuto accollarsi anche i debiti della Curia (cosa diversa dall'Istituto per il sostentamento del Clero che paga gli stipendi ai sacerdoti con l'otto per mille e che non ha problemi economici) che ammontavano a circa 2,5 milioni di euro. Grazie anche a un contributo della Cei (conferenza episcopale italiana) è stata evitata la bancarotta.
La società è la Aquilakalo's (che, mi è stato detto, significa in greco L'Aquila Bella) di cui ieri mattina ha parlato in un dettagliato articolo Antonello Caporale su la Repubblica. La società è una "controllata" della Curia (nel senso che è un po' il gatto che si morde la coda) tanto che fino a ieri il presidente era il vescovo ausiliare monsignor Giovanni D'Ercole. Fino a ieri perché è stato lo stesso D'Ercole a "confessare" a Repubblica di voler lasciare l'incarico per evitare problemi in futuro (anche questa "profezia" un po' inquieta).
In base alla visura camerale del 21 giugno (pochi giorni fa) nel cda c'è anche l'imprenditore Luciano Ardingo il quale però si sarebbe dimesso tempo prima dell'arrivo all'Aquila (poco di prima del Natale 2009) di D'Ercole, dimissioni date dopo aver completato il cosiddetto start up (l'avvio) della società.
Il sacerdote che potrebbe ora guidare la srl è don Luigi Epicoco che pochi giorni dopo il sei aprile ricevette dall'arcivescovo Molinari l'incarico di responsabile del patrimonio artistico della diocesi, incarico che fino al 5 aprile era di don Domenico Marcocci, il parroco di San Gregorio.
E' D'Ercole che appena insediato alla presidenza decide che Aquilakalo's debba in qualche modo sanare una situazione economica che con i 2,5 milioni di debiti era sull'orlo della bancarotta. Ma come nasce questo debito che, come vedremo, di fatto è molto maggiore?. Bisogna risalire a 12 anni fa, nel giugno del 1998, quando monsignor Giuseppe Molinari viene nominato arcivescovo dell'Aquila.
Quando arriva viene accolto da un bagno di folla (Molinari è nato a Scoppito e all'Aquila è da sempre, e lo è ancora adesso, amato e stimato) e portato dentro la cattedrale dal sindaco Biagio Tempesta eletto da un paio di giorni. Molinari raccoglie una eredità difficile dal punto di vista pastorale ma florida dal punto di vista economico.
Il suo predecessore monsignor Mario Peressin era anche un ottimo manager. E' passata alla storia della città la lettera che il Centro pubblicò nel 1991 in cui quasi tutti i preti della diocesi lo accusarono di un amore smodato per il denaro (e a cui seguirono anni di polemiche alimentate dagli interventi che lo stesso arcivescovo non lesinava dalle pagine del Bollettino diocesano che ogni mese riservava uno "scoop").
Peressin lascia l'incarico ma resta di fatto all'Aquila, nell'appartamento che si era costruito, come arcivescovo emerito. Peressin morirà di lì a qualche mese colpito da un attacco cardiaco. Il suo testamento fece altrettanto scalpore perché si scoprì che il patrimonio che lasciava era consistente.
Nella Banca del Fucino aveva aperto un conto corrente intestato alla Curia con una somma di circa tre miliardi. L'indicazione di Peressin era che il capitale non andava toccato perchè la Curia avrebbe vissuto bene utilizzando gli interessi, in tutto o in parte. Molinari, come tutti gli riconoscono, a partire da chi scrive, è un sant'uomo e i sant'uomini si sa non hanno dimestichezza con il denaro.
Ed ecco che man mano quel conto corrente si assottiglia: investimenti sbagliati (come l'acquisto di immobili a Cansatessa per fare una nuova chiesa), tanti giovani sacerdoti giunti da tutto il mondo e incardinati all'Aquila ai quali almeno una volta all'anno bisognava pagare l'aereo per farli tornare per un mese o più alla loro famiglia di origine; una tendenza, tipica dei vescovi attenti alla pastorale ma poco ai bilanci, ad andare incontro a tutti quelli che chiedevano un aiuto in denaro.
In questi anni Curia e Caritas hanno contribuito a pagare bollette a decine di famiglie e per questo non vanno certo censurate. Ma forse l'elemento decisivo è stato che non sempre i collaboratori hanno dato i consigli giusti. Fatto sta che i debiti sono andati aumentando fino a raggiungere la somma di due milioni e mezzo di euro ai quali, se si aggiungono i tre miliardi di vecchie lire lasciati da Peressin, fanno 4 milioni di euro totali. Ora D'Ercole è dovuto correre ai ripari e la società Aquilakalo's ne è stato lo strumento.
La società è la Aquilakalo's (che, mi è stato detto, significa in greco L'Aquila Bella) di cui ieri mattina ha parlato in un dettagliato articolo Antonello Caporale su la Repubblica. La società è una "controllata" della Curia (nel senso che è un po' il gatto che si morde la coda) tanto che fino a ieri il presidente era il vescovo ausiliare monsignor Giovanni D'Ercole. Fino a ieri perché è stato lo stesso D'Ercole a "confessare" a Repubblica di voler lasciare l'incarico per evitare problemi in futuro (anche questa "profezia" un po' inquieta).
In base alla visura camerale del 21 giugno (pochi giorni fa) nel cda c'è anche l'imprenditore Luciano Ardingo il quale però si sarebbe dimesso tempo prima dell'arrivo all'Aquila (poco di prima del Natale 2009) di D'Ercole, dimissioni date dopo aver completato il cosiddetto start up (l'avvio) della società.
Il sacerdote che potrebbe ora guidare la srl è don Luigi Epicoco che pochi giorni dopo il sei aprile ricevette dall'arcivescovo Molinari l'incarico di responsabile del patrimonio artistico della diocesi, incarico che fino al 5 aprile era di don Domenico Marcocci, il parroco di San Gregorio.
E' D'Ercole che appena insediato alla presidenza decide che Aquilakalo's debba in qualche modo sanare una situazione economica che con i 2,5 milioni di debiti era sull'orlo della bancarotta. Ma come nasce questo debito che, come vedremo, di fatto è molto maggiore?. Bisogna risalire a 12 anni fa, nel giugno del 1998, quando monsignor Giuseppe Molinari viene nominato arcivescovo dell'Aquila.
Quando arriva viene accolto da un bagno di folla (Molinari è nato a Scoppito e all'Aquila è da sempre, e lo è ancora adesso, amato e stimato) e portato dentro la cattedrale dal sindaco Biagio Tempesta eletto da un paio di giorni. Molinari raccoglie una eredità difficile dal punto di vista pastorale ma florida dal punto di vista economico.
Il suo predecessore monsignor Mario Peressin era anche un ottimo manager. E' passata alla storia della città la lettera che il Centro pubblicò nel 1991 in cui quasi tutti i preti della diocesi lo accusarono di un amore smodato per il denaro (e a cui seguirono anni di polemiche alimentate dagli interventi che lo stesso arcivescovo non lesinava dalle pagine del Bollettino diocesano che ogni mese riservava uno "scoop").
Peressin lascia l'incarico ma resta di fatto all'Aquila, nell'appartamento che si era costruito, come arcivescovo emerito. Peressin morirà di lì a qualche mese colpito da un attacco cardiaco. Il suo testamento fece altrettanto scalpore perché si scoprì che il patrimonio che lasciava era consistente.
Nella Banca del Fucino aveva aperto un conto corrente intestato alla Curia con una somma di circa tre miliardi. L'indicazione di Peressin era che il capitale non andava toccato perchè la Curia avrebbe vissuto bene utilizzando gli interessi, in tutto o in parte. Molinari, come tutti gli riconoscono, a partire da chi scrive, è un sant'uomo e i sant'uomini si sa non hanno dimestichezza con il denaro.
Ed ecco che man mano quel conto corrente si assottiglia: investimenti sbagliati (come l'acquisto di immobili a Cansatessa per fare una nuova chiesa), tanti giovani sacerdoti giunti da tutto il mondo e incardinati all'Aquila ai quali almeno una volta all'anno bisognava pagare l'aereo per farli tornare per un mese o più alla loro famiglia di origine; una tendenza, tipica dei vescovi attenti alla pastorale ma poco ai bilanci, ad andare incontro a tutti quelli che chiedevano un aiuto in denaro.
In questi anni Curia e Caritas hanno contribuito a pagare bollette a decine di famiglie e per questo non vanno certo censurate. Ma forse l'elemento decisivo è stato che non sempre i collaboratori hanno dato i consigli giusti. Fatto sta che i debiti sono andati aumentando fino a raggiungere la somma di due milioni e mezzo di euro ai quali, se si aggiungono i tre miliardi di vecchie lire lasciati da Peressin, fanno 4 milioni di euro totali. Ora D'Ercole è dovuto correre ai ripari e la società Aquilakalo's ne è stato lo strumento.
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