Del Turco, l’obbligo di dimora spostato a Roma
L’ex governatore chiede il trasferimento, i magistrati danno parere favorevole
PESCARA. Dall’esilio dorato, ma un po’ stretto, di Collelongo, a quello decisamente più comodo della capitale. Ma sempre sotto l’occhio vigile della procura. Neppure una settimana dopo l’infruttuoso faccia a faccia con i magistrati pescaresi, Ottaviano Del Turco ottiene dai pm che lo accusano di avere intascato 5,8 milioni di tangenti, il via libera per trasferirsi dalla Marsica a Roma, nel suo appartamento di via del Babbuino dove peraltro ha la residenza. E’ un colpo a sorpresa, che arriva dopo due settimane di tensione, da quando il tribunale del riesame dell’Aquila ha attenuato la misura cautelare revocando gli arresti domiciliari all’ex governatore.
Fino alla convocazione urgente in procura per fare luce sui «poteri forti di Pescara» denunciati più volte in interviste alla stampa dall’ex presidente della Regione.
Lunedì scorso, tre giorni dopo che Del Turco si era rifiutato di rispondere alle domande del procuratore capo Nicola Trifuoggi e dei sostituti Giampiero Di Florio e Giuseppe Bellelli, il suo legale, l’avvocato Giuliano Milia, ha presentato una formale richiesta per trasferire a Roma l’obbligo di dimora, che renderebbe di fatto molto soft la misura cautelare.
Tutt’altra cosa che girare per quella Collelongo che il 13 ottobre scorso, subito dopo il pronunciamento dei giudici aquilani, Del Turco non aveva esitato a definire, più che un esilio, «una bella condanna, anche se le condanne si comminano in nome del popolo italiano».
I magistrati ai quali è stata sottoposta la richiesta non hanno presentato alcuna opposizione al trasferimento, che - dopo l’ok del giudice - potrebbe consentire a Del Turco anche di riallacciare rapporti politici altrimenti problematici restando a Collelongo.
E’ stato lui stesso, d’altronde, dopo la decisione del Riesame, ad annunciare che la sua vita politica non si sarebbe conclusa nemmeno dopo «l’assoluzione al processo che do per scontata», e che sicuramente «farò politica lontano dall’Abruzzo, dove la mia esperienza è definitivamente tramontata».
Appena la scorsa settimana, la procura aveva chiesto conto a Del Turco delle dichiarazioni rilasciate prima alla stampa e poi, a convocazione già notificata, anche davanti alle telecamere di «Porta a porta».
L’ex governatore non aveva attaccato solo il suo grande accusatore, l’imprenditore della sanità privata Vincenzo Angelini, ma aveva sganciato siluri parlando della gestione allegra dell’acqua, della spregiudicatezza di imprenditori ingolositi dalla sede regionale e delle tariffe salate dell’autostrada.
Aveva scagliato accuse pensatissime anche al vice presidente della Regione Enrico Paolini. Soprattutto, aveva sbandierato la teoria dei poteri forti che sarebbero entrati a gamba tesa sul suo governo regionale e su di lui «che voleva cambiare le regole».
Ma al momento di chiarire la portata di quelle parole, Del Turco si è trincerato nel silenzio, lasciando sospese nell’aria quelle accuse.
Fino alla convocazione urgente in procura per fare luce sui «poteri forti di Pescara» denunciati più volte in interviste alla stampa dall’ex presidente della Regione.
Lunedì scorso, tre giorni dopo che Del Turco si era rifiutato di rispondere alle domande del procuratore capo Nicola Trifuoggi e dei sostituti Giampiero Di Florio e Giuseppe Bellelli, il suo legale, l’avvocato Giuliano Milia, ha presentato una formale richiesta per trasferire a Roma l’obbligo di dimora, che renderebbe di fatto molto soft la misura cautelare.
Tutt’altra cosa che girare per quella Collelongo che il 13 ottobre scorso, subito dopo il pronunciamento dei giudici aquilani, Del Turco non aveva esitato a definire, più che un esilio, «una bella condanna, anche se le condanne si comminano in nome del popolo italiano».
I magistrati ai quali è stata sottoposta la richiesta non hanno presentato alcuna opposizione al trasferimento, che - dopo l’ok del giudice - potrebbe consentire a Del Turco anche di riallacciare rapporti politici altrimenti problematici restando a Collelongo.
E’ stato lui stesso, d’altronde, dopo la decisione del Riesame, ad annunciare che la sua vita politica non si sarebbe conclusa nemmeno dopo «l’assoluzione al processo che do per scontata», e che sicuramente «farò politica lontano dall’Abruzzo, dove la mia esperienza è definitivamente tramontata».
Appena la scorsa settimana, la procura aveva chiesto conto a Del Turco delle dichiarazioni rilasciate prima alla stampa e poi, a convocazione già notificata, anche davanti alle telecamere di «Porta a porta».
L’ex governatore non aveva attaccato solo il suo grande accusatore, l’imprenditore della sanità privata Vincenzo Angelini, ma aveva sganciato siluri parlando della gestione allegra dell’acqua, della spregiudicatezza di imprenditori ingolositi dalla sede regionale e delle tariffe salate dell’autostrada.
Aveva scagliato accuse pensatissime anche al vice presidente della Regione Enrico Paolini. Soprattutto, aveva sbandierato la teoria dei poteri forti che sarebbero entrati a gamba tesa sul suo governo regionale e su di lui «che voleva cambiare le regole».
Ma al momento di chiarire la portata di quelle parole, Del Turco si è trincerato nel silenzio, lasciando sospese nell’aria quelle accuse.