Di Pangrazio, lunedì è il giorno della verità
Fissata l’udienza alla Corte d’Appello che potrebbe ufficializzare la prescrizione per il sindaco sospeso
AVEZZANO. Tutti gli occhi sono puntati sull’udienza di lunedì mattina alla Corte d’Appello dell’Aquila, dove potrebbe essere decretata la prescrizione del reato di peculato d'uso che pende sulla testa del primo cittadino di Avezzano, Gianni Di Pangrazio. Ciò permetterebbe il rientro in Comune del sindaco, sospeso da oltre un anno per gli effetti della legge Severino.
Secondo i calcoli, la prescrizione del reato di peculato d'uso, che ha portato alla sospensione del sindaco, è scattata il 7 settembre scorso. È necessario però che venga dichiarata in udienza alla Corte d’Appello, dove aveva fatto ricorso il legale del primo cittadino Antonio Milo. Il reato di cui è accusato il sindaco è il presunto utilizzo irregolare delle auto blu quando era dirigente della Provincia.
All'udienza di lunedì mattina, quindi, se non ci saranno rinvii, sarà ratificata la prescrizione e a quel punto la prefettura prenderà atto della decisione ed emetterà un provvedimento di revoca della sospensione. Anche se meno probabile, la Corte d'Appello potrebbe pronunciare anche sentenza di proscioglimento dal reato. Ma anche in quel caso ci sarebbe l'esaurimento degli effetti della Severino, che dura altrimenti 18 mesi.
L'iter burocratico a cui il primo cittadino ha dovuto far fronte è stato molto complesso e singolare: si contano sulla punta delle dita i casi in Italia di sospensione di sindaci per la legge Severino. Dopo la sospensione, il 20 settembre 2021, sarebbe dovuta arrivare la decisione del giudice civile sul ricorso presentato da Di Pangrazio. L’attesa, invece, si era protratta fino a novembre, quando il tribunale dell'Aquila aveva respinto le richieste dei legali di Di Pangrazio, Claudio Verini e Stefano Recchioni. Il ricorso civile si fondava su alcuni precedenti in cui la legittimità della legge Severino era stata messa in discussione. Così la battaglia legale è continuata in Appello. Il sindaco è stato condannato a un anno e 4 mesi ma solo per il reato di peculato d'uso, e non per peculato, relativo a quattro viaggi per una presunta spesa totale di circa 200 euro. Circostanza che Di Pangrazio ha sempre respinto rivendicando in più occasioni gli oltre 60mila euro di indennità personali che aveva lasciato nelle casse comunali. (p.g.)
Secondo i calcoli, la prescrizione del reato di peculato d'uso, che ha portato alla sospensione del sindaco, è scattata il 7 settembre scorso. È necessario però che venga dichiarata in udienza alla Corte d’Appello, dove aveva fatto ricorso il legale del primo cittadino Antonio Milo. Il reato di cui è accusato il sindaco è il presunto utilizzo irregolare delle auto blu quando era dirigente della Provincia.
All'udienza di lunedì mattina, quindi, se non ci saranno rinvii, sarà ratificata la prescrizione e a quel punto la prefettura prenderà atto della decisione ed emetterà un provvedimento di revoca della sospensione. Anche se meno probabile, la Corte d'Appello potrebbe pronunciare anche sentenza di proscioglimento dal reato. Ma anche in quel caso ci sarebbe l'esaurimento degli effetti della Severino, che dura altrimenti 18 mesi.
L'iter burocratico a cui il primo cittadino ha dovuto far fronte è stato molto complesso e singolare: si contano sulla punta delle dita i casi in Italia di sospensione di sindaci per la legge Severino. Dopo la sospensione, il 20 settembre 2021, sarebbe dovuta arrivare la decisione del giudice civile sul ricorso presentato da Di Pangrazio. L’attesa, invece, si era protratta fino a novembre, quando il tribunale dell'Aquila aveva respinto le richieste dei legali di Di Pangrazio, Claudio Verini e Stefano Recchioni. Il ricorso civile si fondava su alcuni precedenti in cui la legittimità della legge Severino era stata messa in discussione. Così la battaglia legale è continuata in Appello. Il sindaco è stato condannato a un anno e 4 mesi ma solo per il reato di peculato d'uso, e non per peculato, relativo a quattro viaggi per una presunta spesa totale di circa 200 euro. Circostanza che Di Pangrazio ha sempre respinto rivendicando in più occasioni gli oltre 60mila euro di indennità personali che aveva lasciato nelle casse comunali. (p.g.)