le intercettazioni telefoniche
Di Tella: «Facciamolo lavorare, diamogli un subappalto»
L’AQUILA. «Vediamo un poco di far lavorare a quello...o sennò un poco a Cilindro...ho detto mò che torna Mimmo dagli tutti i documenti...vieniti a fare una camminata pure tu...gli facciamo fare un...
L’AQUILA. «Vediamo un poco di far lavorare a quello...o sennò un poco a Cilindro...ho detto mò che torna Mimmo dagli tutti i documenti...vieniti a fare una camminata pure tu...gli facciamo fare un subappalto».
Parlava così – come emerge dalle carte dell’inchiesta della direzione distrettuale antimafia dell’Aquila – rivolgendosi al figlio Domenico, Alfonso Di Tella, imprenditore campano trapiantato all’Aquila da decenni, impegnato nella ricostruzione, finito in carcere nel giugno 2014, accusato di essere tramite delle infiltrazioni dei Casalesi nel cratere del terremoto.
Le indagini della Procura dell’Aquila avevano dimostrato che «nei mesi di gennaio e giugno del 2013 Di Tella Alfonso dava disposizione ai propri figli di girare le somme di denaro direttamente a Cilindro effettuando prelievi o dalla cassaforte di famiglia o direttamente dai conti correnti facenti capo alla società di famiglia». «Dalle conversazioni degli indagati», scrive ancora l’allora gip Billi, «era subito chiaro che le somme di denaro consegnate a Cilindro derivavano dalle estorsioni delle indennità della Cassa edile percepite dagli operai gestiti dai Di Tella». Non a caso nell’inchiesta Dirty job ai Di Tella è stata contestata la trattenuta di somme di denaro dagli stipendi degli operai assoldati dal territorio campano per lavorare nei cantieri della città. Ma nelle carte dell’antimafia è dal 2006, quindi tre anni prima del sisma, che si ha traccia dell’amicizia tra Cilindro e Alfonso Di Tella.