Disabile morto, sentiti i testimoni La madre: «L’hanno ammazzato» 

Il 51enne Collinzio D’Orazio fu ritrovato senza vita nel fiume Giovenco dopo tre giorni di ricerche Imputati due giovani per abbandono di incapace. Ascoltati i primi testimoni, prossima udienza lunedì

SAN BENEDETTO DEI MARSI. «Me l’hanno ammazzato, me l’hanno ammazzato». Lo ha detto in lacrime ieri mattina, davanti alla Corte d’Assise dell’Aquila Teresa Di Nicola, la mamma di Collinzio D’Orazio, il 51enne di San Benedetto trovato senza vita il 23 febbraio del 2019 nel fiume Giovenco dopo tre settimane di ricerche. Il processo, a carico di due giovani del posto, Fabio Sante Mostacci di 30 anni e Mirko Caniglia di 29, è finalizzato ad accertare la verità su quanto avvenuto la notte del 2 febbraio di tre anni fa, quando si persero le tracce della vittima. I due accusati, rinviati a giudizio lo scorso mese di marzo dal gup del tribunale di Avezzano, devono rispondere del reato di abbandono di incapace con l’aggravante di averne causato il decesso. Secondo la tesi accusatoria, avrebbero abbandonato Collinzio D’Orazio in stato confusionale vicino al fiume, in una notte fredda e in un'area fangosa. Questa situazione avrebbe poi provocato la sua morte.
LA MAMMA
Ieri sono sfilati davanti alla giuria popolare, dalla mattina fino alle 17.30, numerosi testimoni dell’accusa e della parte civile. È stata ascoltata la mamma della vittima, che da quasi quattro anni sta lottando per chiedere che venga fatta luce sulla morte del figlio. Un intervento toccante quello fatto dal banco dei testimoni. La donna ha ricordato il suo profondo legame con il figlio, che aveva delle invalidità a causa dei problemi di salute, ma anche l’angoscia nei giorni di ricerche. Ha poi ricostruito i fatti di quella sera, quando il figlio Collinzio uscì di casa per non farne più ritorno.
I TESTIMONI
Ascoltati poi il fratello della vittima, Ghery D’Orazio, e successivamente gli altri testimoni della difesa e della parte civile, in particolare il proprietario del bar dove era stato visto e filmato per l’ultima volta il 51enne, poi altre tre persone che erano presenti nel locale. Infine il medico di famiglia che lo aveva in cura, che ha ricordato come fosse sottoposto a una terapia farmacologica che non gli permetteva di fare uso di alcolici. Ascoltato anche un amico dei due imputati, quello che aveva ricevuto il messaggio cancellato e poi recuperato dai carabinieri. Ha confermato che c’era scritto “Je seme ito a ettà a Fucino”, cioè “L’abbiamo gettato nel Fucino”. Ha però sottolineato che nel messaggio c’erano delle emoticon, le faccette sorridenti. Per la difesa stavano a significare che si trattava solo di una battuta.
IL PROCESSO
Le testimonianze dell’udienza di ieri erano finalizzate alla ricostruzione dei fatti e degli spostamenti della vittima. Si è cercato di analizzare l’aspetto temporale di quella sera, fino alla caduta nel fiume Giovenco che non ha lasciato scampo al 51enne. La prossima udienza, sempre davanti al presidente Marco Billi (a latere il giudice Guendalina Buccella) e al pubblico ministero Luigi Sgambati, si terrà il 5 dicembre. Saranno ascoltati gli investigatori che hanno lavorato al caso: i carabinieri di Avezzano e del Ris. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Franco Colucci, Mario Flammini e Antonio Milo. Presente per le parti civili l’avvocato Stefano Guanciale.
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