Ferragosto, la povertà non va in vacanza

In tanti alla mensa di Celestino: fornite decine di pasti ad aquilani e stranieri

L'AQUILA. La città si svuota ma alla mensa dei poveri non si va in vacanza. Per i volontari in servizio a Ferragosto è una giornata come un'altra. Anzi Ferragosto è stata forse una giornata speciale con un menu di tutto rispetto: gnocchi al ragù, castrato, pomodori, insalata e frutta a volontà. Eppure il 15 agosto delle oltre cento persone che solitamente sono accolte nella mensa celestiniana ve ne erano solo la metà: ma non perché gli assenti siano diventati ricchi improvvisamente.

L'AFFLUSSO.
«La maggioranza dei nostri ospiti» dicono i volontari «sono musulmani e questo è il periodo del ramadan che loro rispettano in modo rigido visto che la loro religione vieta di mangiare dall'alba al tramonto. Per quanto riguarda gli aquilani in giorni come il Ferragosto succede spesso che siano ospiti di qualche loro parente. Ma si tratta solo di un intermezzo». La mensa di piazza d'Armi, relizzata con i contributi dei lettori del Centro che ha raccolto 1,8 milioni, voluta da padre Quirino Salomone e diretta da Paolo Giorgi, è aperta tutti i giorni e dalle 12,30 alle 13,30 accoglie mediamente oltre cento persone al giorno.

I PERSONAGGI.
A entrare nella mensa si ha l'idea di un moderno self service con camerieri impeccabili e tavoli lindi, ma le espressioni dei commensali sono quelle di gente spaurita, preoccupata (comprensibilmente) di non farsi riconoscere. Tra i tavoli anche aquilani che prima del sisma della Mensa di Celestino non sapevano nulla. Nessuno ha voglia di parlare della sua tragedia, per un misto di riservatezza e dignità, tipici della gente di montagna, ma qualcuno si confida. «Ho fatto l'artigiano in centro storico per diversi anni» racconta un uomo di mezza età, «con il mio lavoro riuscivo a portare a casa quanto bastava per vivere e forse qualcosa in più. A una tragedia del genere non ci pensavo. Il mio negozio è danneggiato e non ho i soldi per riavviare l'attività altrove. Per ora vado avanti grazie a questi volontari ma vivere passivamente non è accettabile per chi è stato espropriato della sua vita anche sotto il profilo lavorativo. mangiare è ormai un problema».

Tra i tavoli della mensa un ex professionista, piccoli commercianti, uomini con di droga e parecchi stranieri non musulmani. «Pensavo di potere avere una vita normale in Italia» racconta con il suo italiano insicuro Milan, un giovane dell'est europeo, «ma se continua di questo passo tornerò nel mio paese: qui ci trattano bene ma per il resto poco lavoro e pochi soldi». «Ma quelli che maggiormente sono tristi» raccontano i volontari, «sono forse gli italiani che si ritrovano senza nulla. E' vero che c'è il Progetto case ma è solo l'alloggio. Una ottima cosa ma se non hai reddito sono dolori». Ma ci sono altri nostri concittadini che, per pudore, non vengono nella nostra mensa ma risolvono in altro modo: ogni mercoledì c'è la distribuzione di buste alimentari per le famiglie che prendono viveri per più giorni. Si tratta di scatolame, pasta ma anche altre cose non deperibili. Lì sono in grande maggioranza aquilani. Per il momento questa distribuzione si fa in piazza d'Armi in un container. Lì viene distribuito anche il vestiario: di capi di abbigliamento forniti dalla Protezione civile, mai usati. «Quando c'è stato il terremoto, aggiungono «è arrivato di tutto e di più in quantità esagerata e ci sono stati anche dei problemi su come smaltire tutta questa roba. Una volta chiusi i campi di accoglienza molto vestiario è rimasto in eccedenza. Ecco che ora si sa come impiegare questa roba».

I MENU. «Si cerca di accontentare tutti i gusti» dicono i volontari, «cucinando al tempo stesso piatti che facciano variare il menù: pasta, ma anche riso, minestre, uovo pesce etc. Qui molte persone sono musulmane per cui la carne è minoritaria. Prepariamo per loro pollo e tutte quelle altre carni che non sono di maiale. «Ovviamente non diamo alcolici. Qualcuno in passato ne ha abusato».

GLI STRANIERI. «Sono venuti con l'idea di cambiare vita da diversi Paesi stranieri» raccontano i volontari Nicoletta Calabrese e Andrea Tozzi giovani al servizio dei meno fortunati, «ma hanno trovato una situazione diversa da quella ipotizzata. Per quanti lavori si possano fare all'Aquila nel settore della ricostruzione sono comunque troppi e non c'è lavoro duraturo per tutti. Anche perchè le ditte più grandi sono venute qui con i loro operai. Ecco che per molti si è posto un problema di sopravvivenza».

L'ACCESSO.
Fruire dei servizi della Mensa di Celestino non è difficile. Basta presentarsi e fare un breve colloquio esponendo le proprie problematiche. Ci si affida alla buona fede della gente anche se forse, qualcuno ci marcia. «Del resto» spiegano gli operatori, «nemmeno possiamo fare i poliziotti».

I FONDI. Mandare avanti una struttura di tal fatta non è facile. «Una certa parte delle vettovaglie» spiegano i volontari «viene donata da fornitori, semplici cittadini benemeriti ma ci sono anche delle raccolte di cibo che poi arrivano qui. Ci sono poi, per esempio, delle persone che organizzano una festa e parte di quanto preparano viene devoluto a noi. Vogliamo dare un consiglio a chi ci aiuta. Noi dobbiamo attenerci a quelle che sono le regole della Asl per cui quello che ci arriva deve essere in qualche modo certificato. Per cui se qualcuno ci porta un formaggio da lui fatto, sarà pure buonissimo, ma non possiamo accertarlo in quanto non è testato. Finora non abbiamo mai avuto problemi per preparare i menù. Qualche volta abbiamo avuto carenza di frutta. Per cui chi è interessato può aiutaci in quel senso».

SOS VOLONTARI.
Sono in tutto una trentina le persone che facendo i turni riescono a mandare avanti la baracca tra le cuoche, coloro che servono i piatti e chi, comunque con la propria presenza provvede a quanto necessario. «Noi cadiamo sempre in piedi tutto va a buon fine» afferma un altro volontario, Marcello Nissi, «ma è importante sottolineare la richiesta di altri volontari. Più ne siamo meno si lavora. Non dimentichiamo che siamo volontari e dobbiamo occuparci anche della nostra vita. Spesso è un gioco al massacro perchè il lavoro è tanto. Se c'è qualche volontario in più tanto meglio. Forse la gente non sa che qui c'è un grande bisogno di aiuto».

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