Gli scienziati a Napolitano «Giusta quella sentenza»

Un’associazione internazionale di esperti ha scritto al Capo dello Stato «Nessuno ha mai accusato gli imputati di non avere previsto il terremoto»

L’AQUILA. Continua a far discutere la dura sentenza di condanna a sei anni di reclusione, per omicidio colposo plurimo, dei componenti della commissione Grandi Rischi. Infatti, dopo la sollevazione nel mondo scientifico contro la sentenza, giunge una lettera al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nella quale, invece, si condivide il verdetto del giudice unico Marco Billi. La lunga nota, diffusa dall’avvocato Wania Della Vigna, arriva dall’Isso, Organizzazione internazionale per la sicurezza sismica. «Egregio Signor Presidente», esordiscono gli scienziati nella loro nota, «siamo molto preoccupati per le fuorvianti informazioni diffuse da alcune organizzazioni scientifiche, da alcune riviste e da alcuni quotidiani sulla sentenza di condanna in primo grado dei membri della “Commissione Grandi Rischi” che si riunirono all’Aquila il 31 marzo 2009. La disinformazione su tale argomento ha deliberatamente indotto la comunità scientifica e l’opinione pubblica a ritenere erroneamente che le motivazioni del rinvio a giudizio dei componenti della commissione consistano nell’aver essi “fallito nel prevedere il terremoto”; questa interpretazione erronea può influenzare la comunità scientifica e l’opinione pubblica contro una sentenza pronunciata nel nome del popolo italiano. Una lettera firmata da oltre 5.000 esponenti della comunità scientifica internazionale era stata inviata alla Sua attenzione già prima del rinvio a giudizio, sulla base di questo falso assunto».

«Abbiamo osservato, con disappunto», prosegue la nota, « che tale erronea posizione persiste anche ora che il processo ha portato alla condanna in primo grado di tutti i componenti della commissione. Ci sembra che coloro che hanno preso posizione contro la sentenza non abbiano capito, e forse neppure letto, le motivazioni dell’accusa, dimostrando, tra l’altro, assai poco rispetto per il sistema giudiziario italiano. Noi, invece, siamo convinti che la sentenza abbia messo in luce delle precise responsabilità dei componenti della Cgr, che sono stati accusati non per non aver saputo prevedere il terremoto, bensì per aver voluto convalidare una previsione di “non rischio” in corso, nonostante alcuni di questi scienziati avessero precedentemente pubblicato articoli in cui sostenevano il contrario sulla situazione all’Aquila. Inoltre, la mancanza d’indipendenza di giudizio della commissione, che ha rilasciato dichiarazioni in linea col Dipartimento della Protezione civile (situazione desumibile dall’intercettazione telefonica pubblicata sul sito web di Repubblica), dimostra che il rapporto tra il mondo della ricerca e le istituzioni preposte alla salvaguardia della popolazione deve essere rivisto». «Il processo è stato pubblico», prosegue la lettera, «ed è accuratamente documentato nei registri giudiziari. La documentazione processuale già disponibile dimostra che non si è messa in discussione, né tantomeno attaccata, la scienza. La pubblica accusa (le cui argomentazioni sono esposte nella requisitoria scritta dei pubblici ministeri) è stata estremamente attenta e chiara al riguardo, come può testimoniare chi era presente durante il dibattimento. Lo scopo del processo è stato solo di accertare la verità, per il trionfo della giustizia, non certo di intimidire la scienza. Questo procedimento giudiziario, riguardante gli eventi aquilani, costituirà un riferimento, dal punto di vista giuridico internazionale. Interpretandolo come un attacco alla scienza e agli scienziati, i detrattori dei suoi esiti travisano la realtà dei fatti. Noi crediamo, al contrario, che tali esiti siano di estrema importanza per stimolare i ricercatori a “fare scienza” in modo responsabile e imparziale, in particolare quando si tratta di indagare fenomeni naturali non prevedibili con precisione e suscettibili di gravissime conseguenze quali i terremoti. Siamo convinti che tutte le persone dotate di buon senso concorderanno sul fatto che gli scienziati, inclusi i membri della commissione, sono tenuti a rispondere delle loro azioni in modo responsabile – così come anche tutti gli altri professionisti – in materia di protezione civile. È giusto che il rispetto e l’onore concessi loro dalla comunità siano da essi ricambiati con un’attività svolta con integrità, altruismo e onestà. Non ci sentiamo per nulla minacciati nella nostra professionalità dalla sentenza di condanna. Essa non riguarda la scienza, non è una condanna alla scienza. Siamo in disaccordo con chi paventa che, a seguito della sentenza del tribunale, gli scienziati, in futuro, avranno paura di fornire la propria opera a supporto alla protezione civile. Riteniamo che tale visione sia il risultato diretto dell’errata interpretazione delle motivazioni dell’accusa e della sentenza di condanna che le ha recepite. Pensiamo che la conclusione di questo tragico evento possa rappresentare l’inizio di un percorso più virtuoso, dal punto di vista sia scientifico che etico, per il futuro dell’Italia. Affermiamo con enfasi che gli scienziati saranno, in futuro, più che disposti a mettere al servizio della comunità la loro esperienza, usando maggiore precauzione sia nell’analisi del rischio sia nella comunicazione alla popolazione, soprattutto per la salvaguardia della sicurezza della popolazione, alla quale dovranno essere comunicati, con onestà, i limiti delle conoscenze. Siamo in disaccordo con quelle istituzioni e con quei mezzi di comunicazione che continuano a travisare i capi di accusa e la sentenza influenzando il pubblico con infondati scenari».

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