Gran Sasso, crisi senza fine Si cerca una via d’uscita
Annozero: «Vorremmo sapere quando ci saranno gli investimenti promessi» L’ambientalista Petriccione: «Ora serve un turismo indipendente dalla neve»
L’AQUILA. C’è chi chiede che fine abbia fatto il business plan del Centro Turistico del Gran Sasso. Chi racconta la propria esperienza di imprenditrice sulla montagna aquilana. E chi sollecita la riconversione in chiave ecologica del complesso turistico-sciistico. Dibattito aperto, sul futuro del Gran Sasso, con tanti spunti di riflessione indirizzati al sindaco Massimo Cialente. La prima replica è dell’associazione GranSasso AnnoZero, che vuole conoscere i tempi degli investimenti annunciati: «Il sindaco ci accusa di non schierarci sulla questione degli impianti, quando è noto a tutti che le proposte di Gran Sasso Anno Zero non sono contrapposte, ma complementari agli investimenti sugli impianti. Così si sposta la polemica su questioni laterali, aggirando la nostra domanda centrale: che sia spiegata chiaramente e una volta per tutte alla città la vera situazione riguardo il futuro del Gran Sasso». Nel business plan del Ctgs erano stati inseriti anche alcuni progetti dell’associazione, come quello dello snowpark a Campo Imperatore: «Oggi veniamo a scoprire che in realtà per questi progetti non c’è speranza, perché il Ctgs è al collasso e i soldi non ci sono. Come siamo arrivati a questo? Perché da parte del Comune sono state fatte promesse che non potevano essere mantenute? A marzo 2014, il sindaco annunciava trionfalmente l’imminente rilancio del Centro Turistico attraverso il business plan che doveva essere approvato in consiglio comunale di lì a poco. Il risanamento del Ctgs, il rinnovamento degli impianti, l’ingresso di Invitalia e la conseguente privatizzazione venivano dati per certi. Oggi, a quasi un anno di distanza, il Ctgs è invece ancora agonizzante, e la famosa privatizzazione una specie di miraggio». Scrive al sindaco anche Alessandra Serripierro, che da venti anni gestisce il campeggio alla base della funivia di Fonte Cerreto: «Ho subìto gli attacchi (inutili) degli usi civici, delle persone che rivendicavano proprietà, di molti portatori di interesse economico, a cui l’area su cui esercito la mia attività lasciava intravedere gradi potenzialità di sviluppo economico e probabilmente di grande quantità di denari. Eppure io sono andata avanti, assistendo senza protestare a erogazione di fondi pubblici ad altri operatori che hanno potuto vincere bandi europei, ampliarsi, fare migliorie, fino a diventare personaggi à la page di questa piccola comunità. A me no, non è stato mai concesso. Questo campeggio», sottolinea l’operatrice turistica, «che tu hai definito fatiscente in più occasioni pubbliche e che ti ostini a ignorare, ha contribuito a far transitare olandesi, tedeschi, francesi, israeliani, palestinesi, americani, giapponesi, nel nostro territorio. Probabilmente la mia idea di ambientalismo è un tantinello rigida. Ma sono attenta e ascolto, non faccio della coerenza a tutti i costi un baluardo. Alzo la testa, e a ridosso della partenza della funivia c’è chi fa come gli pare, nonostante il Parco». Torna a farsi sentire anche l’ecologo Bruno Petriccione: «I nodi sono venuti al pettine, si è infine giunti a un bivio. Da una parte la necessità di investimenti pesanti basati su una scommessa incerta, puntando tutto su un settore già in forte crisi un po’ ovunque e destinato a diventarlo sempre più a causa dei cambiamenti climatici. Dall’altra, l’alternativa verde, basata su piccoli investimenti diffusi sul territorio a vantaggio di un turismo più moderno e di maggiore qualità, in crescita ovunque, basato sui valori naturali unici del cuore verde d’Europa. Attraverso la conversione in chiave ecologica dei complessi turistico-sciistici, l’attuazione di estesi interventi di risanamento e rinaturalizzazione del territorio e la realizzazione di mille micro-interventi», suggerisce Petriccione, «si potrebbe sviluppare un turismo indipendente dalla presenza di neve sulle piste, in grado di rivitalizzare l’economia dell’area in modo durevole, fornendo lavoro a decine di migliaia di persone e migliorando e non peggiorando la qualità del nostro preziosissimo ambiente naturale».
Romana Scopano
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