I familiari: «Nessuno ci ridarà i nostri figli»
Le reazioni alla sentenza d’Appello: «Ora possiamo cominciare a credere che la giustizia è possibile»
L’AQUILA. Madri, padri, zii, fratelli, superstiti. Tutti insieme, stretti gli uni agli altri sin dalle 10 di mattina davanti all’aula A della Corte d’Appello, per farsi forza in una giornata tesa e difficile, per chi da sei anni aspetta una piccola e insufficiente giustizia “terrena”.
Alla fine il momento culminante, la lettura della sentenza, arriva alle 17,30 circa, quando la corte rientra in aula e l’aria si scioglie nel generale sollievo degli avvocati di parte civile. «Motivazioni entro il 15 luglio 2015». Così i giudici concludono la lettura della sentenza che conferma la condanna inflitta in primo grado agli imputati per il crollo della Casa dello studente, in cui persero la vita otto ragazzi, lasciando interdetti gli avvocati della difesa, con Attilio Cecchini (legale di Sebastiani, dipendente Adsu) che commenta lapidario: «Come penalista, questa sentenza mi delude. Come difensore, mi rattrista». Per i genitori delle vittime non si tratta di una vittoria, perché quei giovani non torneranno in vita. Lo dice trattenendo il dolore Roberto, il papà di Francesco Esposito: «Quel che rimane è il dramma. Sono molto provato. C’è stata una giustizia terrena, questo è vero, ma i nostri figli non ci sono più. Non c’è denaro che possa far farli tornare in vita. Il dispiacere», incalza, «è che qui all’Aquila i nostri amministratori sapevano cosa era pericolante e cosa no. Fa rabbia, adesso che Francesco non c’è più per colpa dell’uomo».
Rosa Micheli, mamma di Luca Lunari, non trattiene le lacrime. «La nostra vita è sconvolta, è finita, è stravolta. Non abbiamo più obiettivi. Mio figlio era arrivato all’Aquila la sera prima del terremoto per poi nei giorni successivi proseguire con gli esami. E invece tutti i sogni, suoi e nostri, sono svaniti con il crollo». Commossa dopo una giornata pesante l’avvocatessa che difende 22 parti civili nel processo per il crollo della Casa dello studente, Wania Della Vigna. «Nessuno potrà lenire le ferite dei familiari. Però questa sentenza spiega finalmente di chi sono le responsabilità». Per l’avvocatessa di parte civile Simona Giannangeli «si tratta di un dispositivo che conferma in pieno le responsabilità degli imputati e questo ci conforta». Una sentenza che non cambia la vita ai familiari di chi non c’è più, come per Antonietta Centofanti, zia di Davide, 19enne morto nel crollo: «La speranza, ora, è che nessun altro debba soffrire come noi».
Marianna Gianforte
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