Il grido di chi non s’arrende

Sentenza Grandi Rischi, sit-in e corteo verso la prefettura per chiedere «verità»

L’AQUILA. I volti non sono più rigati dalle lacrime, ormai asciugate dal tempo, ma le espressioni tese, in smorfie di dolore e rabbia, gli occhi che guardano nel vuoto, gli abbracci che hanno il solo rumore sordo dei cappotti di lana, tradiscono un passato che non si può dimenticare, reso forse ancor più ingombrante dalla sentenza di assoluzione di pochi giorni prima. Il verdetto che scagiona sei su sette componenti dell’ex Commissione Grandi rischi non è andato giù ai parenti delle vittime, ma neanche ai tanti aquilani che hanno riempito il piazzale della Villa comunale per manifestare, in silenzio, il proprio dissenso. L’appuntamento è per le 18,30 ma in molti erano lì con largo anticipo. Erano i volti della gente comune che si sono mescolati con quelli di qualche rappresentante istituzionale, dalle senatrici Stefania Pezzopane ed Enza Blundo (che annuncia un esposto alla Procura della Repubblica), al vicepresidente della Regione Giovanni Lolli, che parla di «manifestazione sacrosanta» e di «responsabilità etica e morale di Bertolaso». Manca il sindaco, Massimo Cialente. Su un megaschermo allestito per l’occasione sono passate le immagini delle intercettazioni dell’ex assessore regionale Daniela Stati con l’allora capo della Protezione civile Guido Bertolaso. Amplificate, le loro voci, ormai familiari a tutti, come le loro parole, che in tanti conoscono quasi a memoria, hanno riempito la piazza: «Dobbiamo fare un’operazione mediatica»; «Cento scosse tendono a liberare energia e non arriva mai la scossa, quella che fa male»; «Vogliamo tranquillizzare la gente e invece di parlare io e te, facciamo parlare i massimi scienziati nel campo della sismologia». A commentare sono solo gli striscioni appoggiati sulle mura di legno del mercatino della Villa o tenuti a mano e sollevati il più possibile. Nonostante il sole sia calato da un po’, a illuminarli i flash di macchine fotografiche e telecamere: «Il potere ordina, la scienza obbedisce, la giustizia assolve»; «Un tribunale vi ha assolti, la storia vi condannerà»; «Assolti, ma coinvolti». Poi una breve rappresentazione per srotolare un’altra scritta: «309 ragioni per continuare a lottare». A esporla sono pochi ragazzi che sollevano le loro maschere bianche, le vittime senza volto di un terremoto che qui è ancora presente. Lo urla con un altoparlante Antonietta Centofanti, presidente del Comitato familiari vittime Casa dello studente: «Senza la verità, senza la giustizia questa città non potrà mai seppellire i propri morti e avviarsi in un cammino di ricostruzione». Le parole gridate preludono alle urla di tanti altri aquilani, finora rimasti in silenzio. Quando la folla ha poi deciso di realizzare un corteo spontaneo per raggiungere la Prefettura, la rabbia è esplosa in cori di dolore e indignazione, che hanno fatto irruzione tra i palazzi vuoti di corso Federico II: «La verità non si cancella»; «Vergogna»; «Il fatto non sussiste, ma L’Aquila resiste». In pochi minuti il corteo ha raggiunto la moderna struttura della Prefettura, il palazzo che rappresenta lo Stato anche nella città ferita dal terremoto. È davanti alle vetrate che brillano ancora di nuovo, sotto i portici di epoca fascista, che gli aquilani hanno riversato tutto il loro dolore. Lo hanno fatto con frasi mozzate, racconti concitati, parole non dette, ma capite. Poi, sui volti ancora tesi, con i nasi rossi per la temperatura fredda, è tornata a brillare la luce di qualche lacrima non ancora asciugata.

Michela Corridore

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