Il Guerriero simbolo di un popolo
Nuove indagini riscrivono la storia della misteriosa statua di Capestrano.
L’AQUILA. Era il re di Aufinum (antica città tra Ofena e Capestrano), del popolo dei Vestini o di tutte le popolazioni italiche che abitavano l’Abruzzo? L’identità del Guerriero di Capestrano è ancora avvolta nel mistero, ma nuovi studi sulla scultura sembrano avvalorare l’ipotesi che il comandante raffigurato dalla statua dovesse avere un ruolo sociale di preminenza in tutto il centro Italia.
Le ultime indagini sul Guerriero sono state presentate dall’archeologo della Soprintendenza, Vincenzo d’Ercole, durante il terzo convegno su «Il Fucino e le aree limitrofe nell’antichità», organizzato dall’Archeoclub della Marsica dal 13 al 15 novembre nel castello Orsini Colonna di Avezzano.
Il congresso per la prima volta quest’anno, a seguito del terremoto, ha dedicato un’intera sessione all’archeologia aquilana, approfondendo gli ultimi studi e i ritrovamenti nelle zone colpite dal sisma.
«I Vestini cismontani nel I millennio avanti Cristo erano suddivisi in una confederazione di tre unità: quelli appartenenti all’area di Navelli, Peltuinum, quelli aquilani di Aveja e quelli di Aufinum», spiega d’Ercole.
«Con i nostri studi vorremmo capire quale di queste realtà soprintendeva il Guerriero di Capestrano: Aufinum, tutti i Vestini o addirittura l’intera confederazione sabina che raggruppava la maggior parte dei popoli dell’Italia centro-orientale?».
Quest’ultima ipotesi sembra essersi avvalorata col tempo, proprio grazie agli elementi simbolici rintracciabili sulla statua.
«Tra gli altri, ci siamo soffermati soprattutto su due bordature rosse che sono visibili sopra i piastrini che reggono in piedi la scultura», dice l’archeologo.
«Queste potrebbero rappresentare il mantello del re, un indumento diffuso tra le più alte cariche della società».
Grande attenzione è stata posta anche all’alto collare che indossa il Guerriero.
«Nella realtà questi collari dovevano essere di bronzo», continua d’Ercole, «e servivano a proteggere una delle parti del corpo più a rischio: il collo appunto. Se si analizza la spada che porta il re, molto lunga e sicuramente in ferro, è possibile immaginare come questa potesse ferire anche a morte l’avversario, magari proprio decapitandolo». L’uso del collare durante le battaglie si diffuse soprattutto nel Medioevo e probabilmente trae origine proprio dall’abitudine dei popoli italici di proteggere il collo. Il Guerriero di Capestrano è una scultura in pietra calcarea del VI secolo a.C., rinvenuta in una necropoli dell’antica città di Aufinum.
La statua, con le gambe spezzate, fu trovata casualmente nel 1934 da Michele Castagna, durante dei lavori agricoli per l’impianto di una vigna nella località «Cinericcio». I successivi scavi, condotti dall’archeologo Giuseppe Moretti, riportarono alla luce una necropoli con alcune tombe e corredi funerari, datati tra il VII e il IV secolo a.C.; furono anche trovati altri frammenti della statua, che ne permisero più tardi la ricomposizione e il restauro.
Tra gli altri siti dell’Aquilano è stato posto particolare rilievo agli scavi di Pesatro (Castel del Monte) condotto dal professore di Archeologia classica dell’Università, Gaetano Messineo; di Pizzoli, diretto da Rosanna Tuteri; di Navelli e di Capestrano, condotti in collaborazione tra Soprintendenza e Università di Chieti.
Le ultime indagini sul Guerriero sono state presentate dall’archeologo della Soprintendenza, Vincenzo d’Ercole, durante il terzo convegno su «Il Fucino e le aree limitrofe nell’antichità», organizzato dall’Archeoclub della Marsica dal 13 al 15 novembre nel castello Orsini Colonna di Avezzano.
Il congresso per la prima volta quest’anno, a seguito del terremoto, ha dedicato un’intera sessione all’archeologia aquilana, approfondendo gli ultimi studi e i ritrovamenti nelle zone colpite dal sisma.
«I Vestini cismontani nel I millennio avanti Cristo erano suddivisi in una confederazione di tre unità: quelli appartenenti all’area di Navelli, Peltuinum, quelli aquilani di Aveja e quelli di Aufinum», spiega d’Ercole.
«Con i nostri studi vorremmo capire quale di queste realtà soprintendeva il Guerriero di Capestrano: Aufinum, tutti i Vestini o addirittura l’intera confederazione sabina che raggruppava la maggior parte dei popoli dell’Italia centro-orientale?».
Quest’ultima ipotesi sembra essersi avvalorata col tempo, proprio grazie agli elementi simbolici rintracciabili sulla statua.
«Tra gli altri, ci siamo soffermati soprattutto su due bordature rosse che sono visibili sopra i piastrini che reggono in piedi la scultura», dice l’archeologo.
«Queste potrebbero rappresentare il mantello del re, un indumento diffuso tra le più alte cariche della società».
Grande attenzione è stata posta anche all’alto collare che indossa il Guerriero.
«Nella realtà questi collari dovevano essere di bronzo», continua d’Ercole, «e servivano a proteggere una delle parti del corpo più a rischio: il collo appunto. Se si analizza la spada che porta il re, molto lunga e sicuramente in ferro, è possibile immaginare come questa potesse ferire anche a morte l’avversario, magari proprio decapitandolo». L’uso del collare durante le battaglie si diffuse soprattutto nel Medioevo e probabilmente trae origine proprio dall’abitudine dei popoli italici di proteggere il collo. Il Guerriero di Capestrano è una scultura in pietra calcarea del VI secolo a.C., rinvenuta in una necropoli dell’antica città di Aufinum.
La statua, con le gambe spezzate, fu trovata casualmente nel 1934 da Michele Castagna, durante dei lavori agricoli per l’impianto di una vigna nella località «Cinericcio». I successivi scavi, condotti dall’archeologo Giuseppe Moretti, riportarono alla luce una necropoli con alcune tombe e corredi funerari, datati tra il VII e il IV secolo a.C.; furono anche trovati altri frammenti della statua, che ne permisero più tardi la ricomposizione e il restauro.
Tra gli altri siti dell’Aquilano è stato posto particolare rilievo agli scavi di Pesatro (Castel del Monte) condotto dal professore di Archeologia classica dell’Università, Gaetano Messineo; di Pizzoli, diretto da Rosanna Tuteri; di Navelli e di Capestrano, condotti in collaborazione tra Soprintendenza e Università di Chieti.