Il palazzo dei dieci morti. L’indagine sul disastro parte da via XX Settembre
L’AQUILA. Siamo nella città fantasma, siamo in via XX Settembre davanti al civico numero 79. Questo palazzo di cinque piani in cemento armato, crollato solo per metà, è diventato la tomba di dieci aquilani molto conosciuti. Da qui parte il viaggio del Centro davanti alle case della morte. Da qui parte anche il primo esposto dei cittadini sopravvissuti alla catastrofe che ieri hanno accolto l’appello lanciato dal procuratore Alfredo Rossini. Da qui parte l’inchiesta della procura dell’Aquila. Venti costruttori saranno interrogati, da lunedì partono gli inviti a comparire come persone informate sui fatti. Così trapela da ambienti giudiziari. Il palazzo al civico 79, quasi di fronte alla casa dello studente, rasa al suolo, dove hanno perso la vita otto universitari, è la nostra prima tappa di una via Crucis di trecento morti. Ed è anche il primo tassello dell’inchiesta della procura che ha deciso di procedere secondo un criterio di priorità, lungo una sorta di rosario di 20mila crolli, partendo proprio da questo punto del disastro d’Abruzzo perché in questo palazzo di via XX Settembre c’è stato il maggior numero di morti.
LA CITTA’ MORTA Entriamo nella città fantasma da un ingresso laterale non controllato dalle forze dell’ordine. Tutti gli altri ingressi sono presidiati e quindi inaccessibili. Davanti a ognuno di essi, inoltre, decine di cittadini fanno la fila per essere autorizzati e accompagnati dai vigili del fuoco fino alle proprie macerie che custodiscono ancora fotografie di figli, madri o padri che non ci sono più, documenti e tanti altri ricordi di una vita cancellata dal terremoto. Dal varco laterale e incustodito è facile entrare nella città proibita sia per il pericolo di crolli sia per l’inchiesta della procura che, due giorni fa, ha portato al sequestro di dodici immobili: del tribunale, dell’ospedale, della casa dello studente e di palazzi come questo di via XX Settembre.
AVVOLTI DAL SILENZIO Nella città devastata dal sisma le strade sono deserte, avvolte da un silenzio lunare. Procediamo lentamente in auto, tra cumuli di macerie e muri in bilico. Incrociamo la prima jeep dei vigili del fuoco in via Persichetti, poi passa una pattuglia della polizia. Ma una volta dentro le mure della città proibita nessuno ti controlla più. Ecco lo stabile ridotto a un cumulo di macerie in via Persichetti. Ed ecco a destra la casa dello studente: è rasa al suolo. Ecco infine l’immobile di cinque piani che all’Aquila conoscono come «palazzo Cioni-Berardi», dai nomi dei suoi costruttori. Era a forma di ferro di cavallo, realizzato nel 1965, era solido che sembrava indistruttibile. Gli stessi costruttori ci abitavano all’attico. Davanti l’immobile è intatto. Dietro è sventrato, con pavimenti sospesi nel vuoto.
ERA GENTE NOTA L’avvocato Maurizio Cora è sopravvissuto, i suoi familiari invece sono morti sotto queste macerie; qui hanno perso la vita anche il dentista Dante Vecchioni e la famiglia Pace titolare del bar Cin Cin. Era un palazzo di aquilani molto conosciuti in città. Ed erano anche noti gli esposti inviati alla procura proprio dal dentista Vecchioni perché, sul lato sinistro dell’immobile, sotto una struttura nuova, di color arancione, dove ha la sua sede la Cassa di Risparmio di Firenze, era stato realizzato un garage sotterraneo che, secondo l’esposto, avrebbe influito sulla stabilità del palazzo confinante.
Quegli esposti, però, sono rimasti lettera morta. Così il palazzo al civico 79 è una delle tante tragedie annunciate, anche se ci vorrà molto tempo prima di stabilire se il dentista Vecchioni aveva ragione oppure no. Sta di fatto che l’unica parte dell’immobile che è venuta giù di botto, seppellendo tra le macerie dieci persone, è proprio quella che ridà sul parcheggio sotterraneo confinante.
SOTTO SEQUESTRO Davanti all’ingresso principale, su via XX Settembre, c’è un cumulo di macerie alto tre metri dove spicca un cartello della Squadra mobile con la scritta «immobile sottopposto a sequestro». Sul lato destro ci sono via dell’Orto Agrario e l’ingresso laterale del palazzo, dove hanno trovato la via di fuga gli inquilini superstiti. Ne incontriamo quattro in un hotel di Pescara dove vivono da sfollati. «Abbiamo intenzione di presentare un esposto», dicono. Poi ricordano l’allarme lanciato dal dentista vicino di casa. «Ma nessuno gli ha dato ascolto». E di altri vicini che avevano scattato molte fotografie a quel garage, preoccupati per lo scavo. Quel garage sotterraneo ora si presenta come un’enorme contenitore a imbuto di pezzi di muro e carcasse d’auto. La fotografia che scattiamo all’ingresso del garage e pubblichiamo in queste pagine è impressionante. La mostriamo a uno degli sfollati incontrati nell’hotel e lui, guardando le macerie, riconosce subito un cerchione di una ruota: «E’ ciò che resta della mia auto nuova».
LA CITTA’ MORTA Entriamo nella città fantasma da un ingresso laterale non controllato dalle forze dell’ordine. Tutti gli altri ingressi sono presidiati e quindi inaccessibili. Davanti a ognuno di essi, inoltre, decine di cittadini fanno la fila per essere autorizzati e accompagnati dai vigili del fuoco fino alle proprie macerie che custodiscono ancora fotografie di figli, madri o padri che non ci sono più, documenti e tanti altri ricordi di una vita cancellata dal terremoto. Dal varco laterale e incustodito è facile entrare nella città proibita sia per il pericolo di crolli sia per l’inchiesta della procura che, due giorni fa, ha portato al sequestro di dodici immobili: del tribunale, dell’ospedale, della casa dello studente e di palazzi come questo di via XX Settembre.
AVVOLTI DAL SILENZIO Nella città devastata dal sisma le strade sono deserte, avvolte da un silenzio lunare. Procediamo lentamente in auto, tra cumuli di macerie e muri in bilico. Incrociamo la prima jeep dei vigili del fuoco in via Persichetti, poi passa una pattuglia della polizia. Ma una volta dentro le mure della città proibita nessuno ti controlla più. Ecco lo stabile ridotto a un cumulo di macerie in via Persichetti. Ed ecco a destra la casa dello studente: è rasa al suolo. Ecco infine l’immobile di cinque piani che all’Aquila conoscono come «palazzo Cioni-Berardi», dai nomi dei suoi costruttori. Era a forma di ferro di cavallo, realizzato nel 1965, era solido che sembrava indistruttibile. Gli stessi costruttori ci abitavano all’attico. Davanti l’immobile è intatto. Dietro è sventrato, con pavimenti sospesi nel vuoto.
ERA GENTE NOTA L’avvocato Maurizio Cora è sopravvissuto, i suoi familiari invece sono morti sotto queste macerie; qui hanno perso la vita anche il dentista Dante Vecchioni e la famiglia Pace titolare del bar Cin Cin. Era un palazzo di aquilani molto conosciuti in città. Ed erano anche noti gli esposti inviati alla procura proprio dal dentista Vecchioni perché, sul lato sinistro dell’immobile, sotto una struttura nuova, di color arancione, dove ha la sua sede la Cassa di Risparmio di Firenze, era stato realizzato un garage sotterraneo che, secondo l’esposto, avrebbe influito sulla stabilità del palazzo confinante.
Quegli esposti, però, sono rimasti lettera morta. Così il palazzo al civico 79 è una delle tante tragedie annunciate, anche se ci vorrà molto tempo prima di stabilire se il dentista Vecchioni aveva ragione oppure no. Sta di fatto che l’unica parte dell’immobile che è venuta giù di botto, seppellendo tra le macerie dieci persone, è proprio quella che ridà sul parcheggio sotterraneo confinante.
SOTTO SEQUESTRO Davanti all’ingresso principale, su via XX Settembre, c’è un cumulo di macerie alto tre metri dove spicca un cartello della Squadra mobile con la scritta «immobile sottopposto a sequestro». Sul lato destro ci sono via dell’Orto Agrario e l’ingresso laterale del palazzo, dove hanno trovato la via di fuga gli inquilini superstiti. Ne incontriamo quattro in un hotel di Pescara dove vivono da sfollati. «Abbiamo intenzione di presentare un esposto», dicono. Poi ricordano l’allarme lanciato dal dentista vicino di casa. «Ma nessuno gli ha dato ascolto». E di altri vicini che avevano scattato molte fotografie a quel garage, preoccupati per lo scavo. Quel garage sotterraneo ora si presenta come un’enorme contenitore a imbuto di pezzi di muro e carcasse d’auto. La fotografia che scattiamo all’ingresso del garage e pubblichiamo in queste pagine è impressionante. La mostriamo a uno degli sfollati incontrati nell’hotel e lui, guardando le macerie, riconosce subito un cerchione di una ruota: «E’ ciò che resta della mia auto nuova».