Il pm Fabio Picuti: nessun processo alla scienza

Il pubblico ministero dell’inchiesta Grandi Rischi è intervenuto a un convegno «E’ fuorviante affermare che l’accusa è stata quella di non aver previsto il sisma»

L’AQUILA. Il processo alla Commissione Grandi Rischi «non è in contrapposizione alla Protezione civile. Non è un processo alla scienza. Non una condanna allo Stato». Il sostituto procuratore della Repubblica dell’Aquila, Fabio Picuti, ha approfittato della platea accorsa numerosa al convegno “Volontariato e comunicazione nell’emergenza” – organizzato alla Casa del Volontariato dall’emittente televisiva “Laqtv” – per chiarire che il “suo” processo è stato «comunicato in acluni casi male dagli organi d’informazione». Quello che nell’ottobre scorso ha portato alla condanna in primo grado dei componenti della Commissione Grandi Rischi, nella sua composizione nel periodo in cui ci fu lo sciame sismico e la terribile scossa che distrusse la città, «non è nato per cercare contrasti», ha detto Picuti, ospite d’onore al convegno, insieme al preside della facoltà di Scienze della Comunicazione di Teramo, Luciano D’Amico e al docente di Comunicazione nell’emergenza, Stefano Maria Cianciotta, sempre della facoltà teramana. «Sul banco degli imputati non c’era la scienza, ma 7 imputati» che non hanno eseguito in modo efficiente l’analisi del rischio sismico all’Aquila. «L'accertamento non è stato sulla capacità della scienza di prevedere il terremoto», ha aggiunto il pm, aggiungendo una riflessione che ha provocato la reazione del giornalista e scrittore aquilano, Amedeo Esposito. «I giornali hanno associato il processo alla Commissione a una condanna alla scienza», ha detto il pm, «come se gli scienziati fossero stati condannati per non aver saputo prevedere il terremoto. È stato comunicato un dato non vero. Il processo è servito per verificare l'analisi del rischio sismico all’Aquila nel periodo di intenso sciame sismico». «Allora si tratta di un processo alla stampa», ha tuonato Esposito, vivacizzando il dibattito.

Per Cianciotta durante lo sciame sismico del 2009, che ha avuto il suo apice nella scossa del 6 aprile 2009, «c’è stato un deficit di comunicazione. La sentenza cosiddetta della Grandi Rischi segna uno spartiacque nel modo di comunicare della pubblica amministrazione», ha detto Cianciotta. «L'analisi tecnica deve essere veicolata in modo adeguato, altrimenti resta chiusa nell’alveo degli esperti. Dalla sentenza in poi», ha concluso «tutti i sindaci italiani sono più attenti a comunicare in caso di un’emergenza legata a un disastro naturale. La comunicazione non deve intervenire quando l’emergenza è in corso: al centro deve esserci la previsione del rischio».

Marianna Gianforte

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