Il pm riporta in aula i sette della Grandi rischi
Picuti: «Incidente probatorio indispensabile per formare la prova del reato» Oltre a Zamberletti gli avvocati convocheranno il tecnico del radon Giuliani
L’AQUILA. «L’esame e la convocazione in incidente probatorio dei sette componenti della commissione Grandi rischi rappresentano una prova certamente indispensabile ai fini della decisione e della formazione della prova del reato contestato».
Lo scrivono i sostituti procuratori della Repubblica Fabio Picuti e Roberta D’Avolio a pagina 11 dell’atto datato 26 giugno 2013 col quale chiede al giudice per le indagini preliminari Giuseppe Romano Gargarella di procedere con incidente probatorio all’esame di Franco Barberi, Enzo Boschi, Gian Michele Calvi, Bernardo De Bernardinis, Mauro Dolce, Claudio Eva e Giulio Selvaggi. Si tratta dei sette componenti della commissione Grandi rischi condannati in primo grado a sei anni di reclusione ciascuno per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose che sono in attesa del processo di appello. Ma a questa lista sono destinati ad aggiungersi anche altri personaggi. Tra questi l’ex ministro Giuseppe Zamberletti, il quale non partecipò alla riunione dell’Aquila del 31 marzo 2009 della commissione Grandi rischi oppure il tecnico del radon Giampaolo Giuliani. Gli avvocati di parte civile non si lasceranno certo scappare l’occasione di una oppure più maxi-udienze (in una sorta di anticipazione dell’eventuale procedimento) per cercare di arrivare al confronto tra le dichiarazioni contrastanti e quindi alla definizione della verità.
I QUESITI. Il giudice ha chiesto al pm di accertare «se vi siano stati, prima del 31 marzo 2009, contatti diretti tra l’indagato Guido Bertolaso e ciascuno dei membri della commissione Grandi rischi volti a predeterminare il contenuto e l’esito della riunione tenutasi nella stessa data all’Aquila»; e inoltre di «appurare se Guido Bertolaso abbia compiuto pressioni sui membri della commissione al fine di indurli a rilasciare un comunicato, relativo alla vicenda dello sciame sismico che si stava verificando nell’Aquilano prima del 6 aprile 2009, o comunque avente lo scopo di tranquillizzare la popolazione, senza rivelare la reale pericolosità della situazione, o se al contrario, come si è detto, l’indagato abbia fatto le affermazioni di cui alla citata telefonata sulla base di quanto a lui anticipato da uno o più membri della commissione».
BERTOLASO. L’ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso è indagato in cooperazione colposa con i sette componenti della commissione (per i quali si è proceduto nel filone principale) in quanto, come si legge negli atti, «indiceva, come Capo del Dipartimento nazionale della Protezione civile, la riunione del 31 marzo 2009, predeterminandone il contenuto e l’esito, compiendo pressioni sui membri della commissione al fine di indurli a rilasciare un comunicato, relativo alla vicenda dello sciame sismico che si stava verificando nell’Aquilano prima del 6 aprile 2009, che aveva il solo scopo di tranquillizzare la popolazione senza rivelare la reale pericolosità della situazione». Questa l’accusa dalla quale deve difendersi l’ex capo della Protezione civile.
LA TELEFONATA. Al centro del filone-bis dell’inchiesta sulla commissione Grandi rischi, in relazione alla gestione dello sciame sismico che precedette la grande scossa, la telefonata effettuata dall’indagato Bertolaso all’ex assessore regionale Daniela Stati (oggi uscita definitivamente dall’inchiesta) nel corso della quale «Bertolaso afferma che avrebbe convocato una riunione della commissione con la funzione di compiere un’”operazione mediatica”». Inoltre, come si legge negli atti, «nella stessa telefonata, l’indagato preannuncia sostanzialmente il contenuto del comunicato che sarebbe poi stato rilasciato dalla commissione al termine della riunione». Delle due l’una, dice il giudice: o Bertolaso ha suggerito le risposte oppure gli esperti gli hanno rivelato in anticipo le decisioni. La terza via non esiste.
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