Il ponte realizzato in Africa dall'alpino abruzzese
Unisce tre zone di Bangui, costruito grazie ai fondi messi a disposizione dall’Unione europea
L’AQUILA. Decine di ragazze che ballano al suono di musica africana, e bambini in festa che si passano il pallone in un’improvvisata partita di calcio con i militari della missione europea Eufor Rca che hanno appena portato a termine una missione: posizionare il ponte «Sewa» – «unità» in lingua locale, che unisce di nuovo tre zone della capitale centrafricana Bangui divise dal crollo, nel 2010, della struttura che superava un canale idrico, mai più ripristinata a causa del conflitto civile. E poi applausi e sorrisi, scatti di foto e palloncini dappertutto.
È proprio vero: a volte può bastare un ponte ad accorciare le distanze, e non solo quelle fisiche. In questo caso il ponte è quello costruito dal Genio militare italiano e frutto di un’iniziativa europea a sostegno della sicurezza, dello sviluppo economico e della riconciliazione interconfessionale tra le diverse comunità di Bangui. Una struttura di 24 metri di altezza inaugurata il 30 gennaio nella capitale della Repubblica Centrafricana. Per ora la struttura è smontabile e anticipa di qualche mese una struttura in muratura che l’Unione Europea sta costruendo.
Il ponte è il simbolo della collaborazione tra Paesi diversi: è stato costruito in Polonia, pagato dalla Repubblica Ceca, trasportato dalla Svezia, allestito e montato dai genieri Alpini italiani con la supervisione di ingegneri tedeschi e istruttori cechi.
Insomma, un esempio di integrazione e cooperazione europea che emoziona anche uno come il capitano Marco Di Lorenzo, alpino del Nono reggimento di stanza all’Aquila, unico abruzzese a essere in quella terra, dove da un paio di mesi si dà da fare insieme a centinaia di militari di altre parti del mondo, in un Paese attraversato da tensioni sociali. Di Lorenzo è responsabile della comunicazione della missione e referente del personale italiano. «Ho seguito il progetto curandone gli aspetti sociali e culturali e la comunicazione verso la popolazione locale, che il giorno prima dell’inaugurazione ha partecipato insieme a noi italiani alla manutenzione e pulizia straordinaria del ponte», racconta, consapevole che si tratta di un momento importante non solo per la sua esperienza personale (Di Lorenzo è stato spesso in missione all’estero), ma soprattutto per quello Stato.
«La struttura ha l’obiettivo di aiutare il ritorno della stabilità e della sicurezza nei quartieri segnati dagli scontri di due anni fa», ricorda. Non a caso è stata chiamata «Unity bridge»: il ponte dell’unità. «È forse il progetto più importante di quel territorio per gli effetti che avrà sulla libertà di movimento e l’indotto economico di una terra povera», commenta, «una struttura che fisicamente e idealmente ricongiunge due distretti divisi dalla guerra, uno a prevalenza musulmana, l’altro cristiana». Il ponte rientra tra i vari progetti finanziati dall’Unione europea, primo partner per lo sviluppo del Centrafrica.
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