Il sindaco: «Cupole in azione Sono pulito, rifarei tutto»
Parla il primo cittadino: «In atto un’azione per screditare me e Trifuoggi»
L’AQUILA. La Procura non si arrende. Lo vuole alla sbarra. Le intercettazioni, anche imbarazzanti, corrono ormai di bocca in bocca. Il sindaco è assediato, ma non ci sta e si difende: «Sono vittima di una guerra civile». Cimici o no, seduto su una poltrona di Palazzo Fibbioni, Massimo Cialente accetta di rispondere alle domande del Centro sulla bufera giudiziaria che lo ha investito.
Come faceva a sapere di essere intercettato? E che di lì a un mese avrebbero smesso?
«Era un mio modo di dire. Sapevo che, una volta la polizia, una volta carabinieri e finanzieri, insomma c’erano registrazioni. Ma ho scoperto leggendolo sul Centro che a Villa Gioia c’erano le cimici. Ho sempre sospettato che fossero a Palazzo Fibbioni e in auto. Ricordo che la macchina del sindaco fu fatta sparire e dopo 4 giorni ritrovata in un capannone. Quando cominciarono a girare voci in città ed ero bombardato andai in Procura».
A fare cosa?
«Dissi di voci indirette secondo le quali le mie telefonate erano in mano ai giornalisti. Io non ho altri telefoni, perché non ho nulla da nascondere. Dissi: le registrazioni le avete voi, io segnalo che già sarebbero in giro, se ci sono conferme indagate. Ci fu un articolo on line che parlava di colonnelli spostati per colpa mia».
Chi l’avvisò dei telefoni sotto controllo?
«Nessuno. Impossibile pensare a contatti con ambienti giudiziari. Quando dissi: “ora finiscono” fu una mia analisi. Prima o poi devono finire, perché erano arrivati a fare indagini su di me da prima del 2004 e furono sentite persone e sequestrati atti...».
Per quali ipotesi di reato?
«Non lo so. Oggettivamente era emerso che mai Iannini era entrato con la sua ditta in casa mia. Tutto parte da un pomeriggio in cui compare un articolo sul web, fatto sparire dopo poche ore, sul fatto che Iannini avesse fatto casa mia: cosa assolutamente falsa».
Eppure fu indagato...
«Dal 2004, come dissero gli operai di quel tempo, un muratore di Tornimparte e uno di Pizzoli, l’impianto elettrico me lo fece un certo Di Marco e l’impianto termico l’idraulico Rosa. Questi i lavori a casa mia. Iannini? Mai fatto niente a casa mia».
E le misure prese da Iannini a casa sua, che sono agli atti dell’inchiesta?
«Era venuto a vedere una ringhiera non fatta da lui, che si era danneggiata. Venne con un operaio e mi disse “ma che è sta roba rotta, ti faccio vedere come si ripara” ma non fece quei lavori. Questa sarebbe la contropartita? Sta ancora così, andate a casa mia e la fotografate».
E i lavori nella sua abitazione? La fattura di Frattale intestata a sua moglie che il colonnello Prosperi annota come “lavori non pagati”?
«Lavori fatti e finiti nel tempo e che, come tanti aquilani, sto pagando a rate con bonifici da 300 euro».
Perché un rapporto così confidenziale con Iannini, controparte del Comune in un costoso contenzioso?
«Lo conobbi al ripescaggio dell’Aquila calcio. Sono diventato amico suo come di altri imprenditori. Lui aveva due problemi: la controversia della metropolitana, caso che fu gestito dal vicesindaco che tenne gli incontri, e la seconda che io ho mandato alla Procura e poi l’inchiesta si è aperta su di me».
Un’altra inchiesta, dunque?
«Sulla vicenda della tassazione della Ziaca legata alla Tarsu. Questa ditta era l’unica che doveva pagare tutto. Il garante del contribuente-presidenza del consiglio dei ministri, scrisse due lettere, che io non avevo visto, in cui mi invitava ad annullare in autotutela il pagamento. Io mandai tutto in Procura, ma non si ritrovano gli atti di quello che successe. A tutti gli imprenditori fu annullata la tassa rifiuti, tranne a Iannini. Lui venne da me con un direttore di banca mio amico e mi disse: se io fallisco alla luce di queste due lettere che tu non hai applicato io faccio pagare te. Me ne mostrò una copia. Io saltai dalla sedia. E anche questa vicenda, con lettere mie e dei dirigenti, l’ha seguita il vicesindaco».
Caso Palomar. Autorizzare pagamenti a favore di un’impresa rientra tra i compiti di un sindaco? Anche quando essa, per l’accusa, non è a posto?
«Il Durc c’era, per questo abbiamo pagato. Se non l’avessimo fatto saremmo stati passibili di denuncia. Mai pagato nulla che non fosse in regola».
Ma la Procura dice altro.
«Il problema lì era un altro. La vicenda si era interrotta perché c’era un’altra impresa, loro erano subentrati, la pratica era ferma da mesi, ma il pagamento fu fatto quando arrivò il Durc. Palomar era a posto, il problema era della ditta precedente; quello che ha fatto l’amministratore di condominio, in quel caso, è una vicenda che non m’interessa».
Perché sollecitare pagamenti dovuti?
«Di telefonate di quel tipo ce ne sono tante. In quei giorni i giornali, a cominciare dal Centro, non facevano altro che riportare il dramma dei cittadini che non rientravano causa fallimento Consta. Tutti i giorni veniva gente a piangere».
E le case di Pettino?
«Sono rimasto senza parole nell’ascoltare l’arringa del dottor Gallo perché io ho capito che come Forrest Gump sono entrato in una vicenda, quella dei 201 appartamenti, non chiara, a mio avviso, nella storia della cooperativa, che poteva diventare divisa nella proprietà già con un’autorizzazione del 2007 della Regione, credo. Coi cittadini arrabbiatissimi per la mancata divisione io ho dovuto gestire la fase preparatoria, per poi uscire al momento della scelta. Le ditte furono indicate, si disse, per la solidità di bilancio, mentre erano in difficoltà».
Insomma, com’è andata?
«Secondo gli interrogatori lì c’è stato qualcosa di strano. Io so solo che vennero i cittadini, che Iannini aveva predisposto il cantiere. Domanda: come ha fatto senza che nessuno gli dicesse lei chi è? Chiedo ai cittadini, adesso, di venire a raccontare quel dramma da loro vissuto, le lacrime, le grida nel mio ufficio, le litigate contro i due amministratori. Perché nessuno parla?».
Le intercettazioni fanno conoscere anche risvolti della sua vita privata, o commenti personali su politici e giudici. Preoccupato? Amareggiato?
«Non mi preoccupo. È chiaro che è una violazione incredibile. Io ho continuato a parlare senza paura: male non fare, paura non avere. Ho fiducia nella magistratura, nella polizia, nei carabinieri, nella finanza e nella forestale. Ho fiducia anche nella responsabilità professionale degli avvocati in mano ai quali vanno i fascicoli. Se questa fiducia dovesse crollare sarebbe la fine. L’amarezza è tanta soprattutto perché so, ancora una volta, chi ha dato queste intercettazioni. Stesso giro, stessa vicenda Lisi del 2014. Nel 2015 girava voce di un mio arresto. In città lo sanno tutti. Sanno chi arma. E chi è il sicario. Sono cupole cittadine che ho ridotto in cupolette. Vogliono demolire me e Trifuoggi».
Chi è in possesso di queste pagine?
«Il pm, la Finanza, i legali Benedetti, Camerini e Manieri».
Chi le ha diffuse, secondo lei?
«Un professionista tra virgolette, che ha sempre fatto danni».
Lei le ha lette?
«Non ho voluto. Per principio. Sono contento di una cosa: dopo che sono stato passato al setaccio, ne esco contento. Pulito. Ho scoperto dopo, avevo le telecamere davanti a casa, appostamenti, manco l’arresto di Provenzano. Il problema è i ricatti ai quali sono sottoposto in questo momento da chi ha fatto uscire le intercettazioni. Buttano fango per questa e qualche altra campagna elettorale».
Farà altre denunce?
«Dov’è la legalità? Chi deve assicurare il rispetto delle regole in questo paese? Mi conoscete: la città sa».
La Procura va in Cassazione: su cosa ha potuto basare il ricorso?
«Non ne posso avere idea, a meno che non la si voglia tener viva per aprire un’indagine sui 201 appartamenti. A questo punto voglio sapere io com’è andata. E come furono scelte ditte che andavano a fallire. Tutto il casino è legato a una situazione che non mi è mai piaciuta: nella ricostruzione privata dovevano esserci elementi pubblici. Le stesse cinque buste/offerte dei tempi di Barca non sono state mai seriamente codificate. Qualcosa è successo, in un appalto privato da 60 milioni».
Perché, a leggere i suoi dialoghi, tutto questo risentimento verso i magistrati della Procura, il pm che indaga, il precedente capo dell’ufficio?
«Per rispetto delle istituzioni: no comment. Non ce l’ho con la magistratura, nella quale ho massima fiducia. Spero che esca il fascicolo intero di com’è partita l’indagine su di me».
Qual è il suo tenore di vita?
«La ringhiera rotta è ancora lì. Non cambio le macchine, sono il più povero tra quelli che stanno nella ricostruzione, tranne muratori e manovali, anche se nelle mie mani sono passati 5 miliardi. Sono pulito. Sfido tutti alla prova contraria».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Come faceva a sapere di essere intercettato? E che di lì a un mese avrebbero smesso?
«Era un mio modo di dire. Sapevo che, una volta la polizia, una volta carabinieri e finanzieri, insomma c’erano registrazioni. Ma ho scoperto leggendolo sul Centro che a Villa Gioia c’erano le cimici. Ho sempre sospettato che fossero a Palazzo Fibbioni e in auto. Ricordo che la macchina del sindaco fu fatta sparire e dopo 4 giorni ritrovata in un capannone. Quando cominciarono a girare voci in città ed ero bombardato andai in Procura».
A fare cosa?
«Dissi di voci indirette secondo le quali le mie telefonate erano in mano ai giornalisti. Io non ho altri telefoni, perché non ho nulla da nascondere. Dissi: le registrazioni le avete voi, io segnalo che già sarebbero in giro, se ci sono conferme indagate. Ci fu un articolo on line che parlava di colonnelli spostati per colpa mia».
Chi l’avvisò dei telefoni sotto controllo?
«Nessuno. Impossibile pensare a contatti con ambienti giudiziari. Quando dissi: “ora finiscono” fu una mia analisi. Prima o poi devono finire, perché erano arrivati a fare indagini su di me da prima del 2004 e furono sentite persone e sequestrati atti...».
Per quali ipotesi di reato?
«Non lo so. Oggettivamente era emerso che mai Iannini era entrato con la sua ditta in casa mia. Tutto parte da un pomeriggio in cui compare un articolo sul web, fatto sparire dopo poche ore, sul fatto che Iannini avesse fatto casa mia: cosa assolutamente falsa».
Eppure fu indagato...
«Dal 2004, come dissero gli operai di quel tempo, un muratore di Tornimparte e uno di Pizzoli, l’impianto elettrico me lo fece un certo Di Marco e l’impianto termico l’idraulico Rosa. Questi i lavori a casa mia. Iannini? Mai fatto niente a casa mia».
E le misure prese da Iannini a casa sua, che sono agli atti dell’inchiesta?
«Era venuto a vedere una ringhiera non fatta da lui, che si era danneggiata. Venne con un operaio e mi disse “ma che è sta roba rotta, ti faccio vedere come si ripara” ma non fece quei lavori. Questa sarebbe la contropartita? Sta ancora così, andate a casa mia e la fotografate».
E i lavori nella sua abitazione? La fattura di Frattale intestata a sua moglie che il colonnello Prosperi annota come “lavori non pagati”?
«Lavori fatti e finiti nel tempo e che, come tanti aquilani, sto pagando a rate con bonifici da 300 euro».
Perché un rapporto così confidenziale con Iannini, controparte del Comune in un costoso contenzioso?
«Lo conobbi al ripescaggio dell’Aquila calcio. Sono diventato amico suo come di altri imprenditori. Lui aveva due problemi: la controversia della metropolitana, caso che fu gestito dal vicesindaco che tenne gli incontri, e la seconda che io ho mandato alla Procura e poi l’inchiesta si è aperta su di me».
Un’altra inchiesta, dunque?
«Sulla vicenda della tassazione della Ziaca legata alla Tarsu. Questa ditta era l’unica che doveva pagare tutto. Il garante del contribuente-presidenza del consiglio dei ministri, scrisse due lettere, che io non avevo visto, in cui mi invitava ad annullare in autotutela il pagamento. Io mandai tutto in Procura, ma non si ritrovano gli atti di quello che successe. A tutti gli imprenditori fu annullata la tassa rifiuti, tranne a Iannini. Lui venne da me con un direttore di banca mio amico e mi disse: se io fallisco alla luce di queste due lettere che tu non hai applicato io faccio pagare te. Me ne mostrò una copia. Io saltai dalla sedia. E anche questa vicenda, con lettere mie e dei dirigenti, l’ha seguita il vicesindaco».
Caso Palomar. Autorizzare pagamenti a favore di un’impresa rientra tra i compiti di un sindaco? Anche quando essa, per l’accusa, non è a posto?
«Il Durc c’era, per questo abbiamo pagato. Se non l’avessimo fatto saremmo stati passibili di denuncia. Mai pagato nulla che non fosse in regola».
Ma la Procura dice altro.
«Il problema lì era un altro. La vicenda si era interrotta perché c’era un’altra impresa, loro erano subentrati, la pratica era ferma da mesi, ma il pagamento fu fatto quando arrivò il Durc. Palomar era a posto, il problema era della ditta precedente; quello che ha fatto l’amministratore di condominio, in quel caso, è una vicenda che non m’interessa».
Perché sollecitare pagamenti dovuti?
«Di telefonate di quel tipo ce ne sono tante. In quei giorni i giornali, a cominciare dal Centro, non facevano altro che riportare il dramma dei cittadini che non rientravano causa fallimento Consta. Tutti i giorni veniva gente a piangere».
E le case di Pettino?
«Sono rimasto senza parole nell’ascoltare l’arringa del dottor Gallo perché io ho capito che come Forrest Gump sono entrato in una vicenda, quella dei 201 appartamenti, non chiara, a mio avviso, nella storia della cooperativa, che poteva diventare divisa nella proprietà già con un’autorizzazione del 2007 della Regione, credo. Coi cittadini arrabbiatissimi per la mancata divisione io ho dovuto gestire la fase preparatoria, per poi uscire al momento della scelta. Le ditte furono indicate, si disse, per la solidità di bilancio, mentre erano in difficoltà».
Insomma, com’è andata?
«Secondo gli interrogatori lì c’è stato qualcosa di strano. Io so solo che vennero i cittadini, che Iannini aveva predisposto il cantiere. Domanda: come ha fatto senza che nessuno gli dicesse lei chi è? Chiedo ai cittadini, adesso, di venire a raccontare quel dramma da loro vissuto, le lacrime, le grida nel mio ufficio, le litigate contro i due amministratori. Perché nessuno parla?».
Le intercettazioni fanno conoscere anche risvolti della sua vita privata, o commenti personali su politici e giudici. Preoccupato? Amareggiato?
«Non mi preoccupo. È chiaro che è una violazione incredibile. Io ho continuato a parlare senza paura: male non fare, paura non avere. Ho fiducia nella magistratura, nella polizia, nei carabinieri, nella finanza e nella forestale. Ho fiducia anche nella responsabilità professionale degli avvocati in mano ai quali vanno i fascicoli. Se questa fiducia dovesse crollare sarebbe la fine. L’amarezza è tanta soprattutto perché so, ancora una volta, chi ha dato queste intercettazioni. Stesso giro, stessa vicenda Lisi del 2014. Nel 2015 girava voce di un mio arresto. In città lo sanno tutti. Sanno chi arma. E chi è il sicario. Sono cupole cittadine che ho ridotto in cupolette. Vogliono demolire me e Trifuoggi».
Chi è in possesso di queste pagine?
«Il pm, la Finanza, i legali Benedetti, Camerini e Manieri».
Chi le ha diffuse, secondo lei?
«Un professionista tra virgolette, che ha sempre fatto danni».
Lei le ha lette?
«Non ho voluto. Per principio. Sono contento di una cosa: dopo che sono stato passato al setaccio, ne esco contento. Pulito. Ho scoperto dopo, avevo le telecamere davanti a casa, appostamenti, manco l’arresto di Provenzano. Il problema è i ricatti ai quali sono sottoposto in questo momento da chi ha fatto uscire le intercettazioni. Buttano fango per questa e qualche altra campagna elettorale».
Farà altre denunce?
«Dov’è la legalità? Chi deve assicurare il rispetto delle regole in questo paese? Mi conoscete: la città sa».
La Procura va in Cassazione: su cosa ha potuto basare il ricorso?
«Non ne posso avere idea, a meno che non la si voglia tener viva per aprire un’indagine sui 201 appartamenti. A questo punto voglio sapere io com’è andata. E come furono scelte ditte che andavano a fallire. Tutto il casino è legato a una situazione che non mi è mai piaciuta: nella ricostruzione privata dovevano esserci elementi pubblici. Le stesse cinque buste/offerte dei tempi di Barca non sono state mai seriamente codificate. Qualcosa è successo, in un appalto privato da 60 milioni».
Perché, a leggere i suoi dialoghi, tutto questo risentimento verso i magistrati della Procura, il pm che indaga, il precedente capo dell’ufficio?
«Per rispetto delle istituzioni: no comment. Non ce l’ho con la magistratura, nella quale ho massima fiducia. Spero che esca il fascicolo intero di com’è partita l’indagine su di me».
Qual è il suo tenore di vita?
«La ringhiera rotta è ancora lì. Non cambio le macchine, sono il più povero tra quelli che stanno nella ricostruzione, tranne muratori e manovali, anche se nelle mie mani sono passati 5 miliardi. Sono pulito. Sfido tutti alla prova contraria».
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