Inverardi: l’Ateneo deve cambiare rotta

Verso il voto per il nuovo rettore. La candidata: puntare sulle risorse umane e sulla qualità della didattica e della ricerca

L’AQUILA. Idee chiare e toni decisi caratterizzano Paola Inverardi, una delle due donne favorite nella corsa al rettorato, insieme a Maria Grazia Cifone. Nata all’Aquila 55 anni fa, è prof ordinario dal 1994. Dal 2008 è diventata preside della facoltà di Scienze. Oggi la nuova sfida, quella verso il rettorato.

Quando ha deciso di candidarsi?

«Sono dell’Aquila, sono tornata nel 1994 come professore nell’Università del capoluogo dopo 20 anni trascorsi a Pisa. Dopo il 6 aprile mi è apparso chiaro che l’Ateneo poteva e doveva giocare un ruolo chiave nella ricostruzione della città. È da quel momento che ho avvertito la necessità di un maggior coinvolgimento nella progettazione di un nuovo modello di Ateneo che potesse coniugare possibile sviluppo con anni di ricostruzione fisica e sociale».

Come sintetizzerebbe il suo programma?

«La forza di un Ateneo è nelle sue risorse umane. A questo è legata la capacità di fare buona ricerca ed erogare buona didattica e la possibilità di produrre ricadute sul sistema produttivo. A fine 2013 potremo contare su meno unità di personale del 2002. Questo è dovuto ai tagli sul turn over, che persistono, ma anche al fatto che l’Università nel 2009 e nel 2010 è risultata non virtuosa e ha perso l’equivalente di 60 posti di ricercatore. Il contesto normativo rende la nostra offerta formativa non sostenibile nel rapporto risorse/obiettivi. La sfida è quindi valorizzare tutte le competenze esistenti per mantenere la caratteristica di un Ateneo che offre tutti i livelli di formazione: primo livello, magistrali e dottorati. La mia proposta si basa sul concetto di Ateneo aperto, in collaborazione con altri Atenei e centri di ricerca, anche internazionali. Abbiamo già esperienze di collaborazioni interateneo anche internazionali di successo e di alto profilo qualitativo. Dobbiamo passare dall’attuale logica di concorrenza con enti esterni, universitari e non, a una logica di integrazione. Si devono anche promuovere, con gli attori del territorio impegnati nella ricostruzione, iniziative formative e di ricerca comuni. La ricostruzione materiale e immateriale è opportunità formativa distintiva per i nostri studenti; l’apporto di creatività, energia e passione dei nostri studenti alla ricostruzione è opportunità straordinaria per la città».

Qual è, a suo avviso, il primo problema da risolvere da parte del nuovo Rettore?

«Instaurare un rapporto strutturale con i soggetti istituzionali per definire le strategie di insediamento dei poli universitari, il loro raccordo con i processi di ricostruzione in atto e la loro valenza per lo sviluppo del territorio. La possibilità di livelli adeguati di accoglienza degli studenti e del personale dipende da questo. Residenzialità e trasporti soddisfacenti sono indispensabili».

Viene spesso definita come rappresentante degli anti-di Orio. Si trova d’accordo con questa definizione?

«È una semplificazione giornalistica. Io mi candido a Rettore per “qualcosa” e non contro “qualcuno” e per essere il Rettore di tutto l’Ateneo. Certamente il modello di Ateneo che propongo si discosta radicalmente da quello realizzato dalla passata gestione. In questi anni il nostro confronto all’interno degli organi è stato di forte contrapposizione soprattutto per quanto riguarda l’esigenza di reale coinvolgimento e partecipazione di tutti. Il Rettore non può considerarsi “il principe”».

Cosa pensa degli altri candidati? Le sue posizioni a quali sono più vicine?

«Cifone ha una grande esperienza di gestione soprattutto di organizzazione della didattica. Luongo ha una lunga esperienza di direttore di dipartimento. Vegliò ha una esperienza molto più limitata, confinata all’organizzazione didattica in uno specifico ambito. Nei programmi di Cifone e di Vegliò è completamente assente una visione critica e si presenta come totale continuità con l’esistente».

Il suo programma punta molto sulla qualità degli studi. Significa dover rinunciare al numero degli studenti?

«Certamente no, sarebbe come dire che rinunciamo alla nostra missione di formatori. C’è un equivoco di fondo, che nasce dal considerare solo il numero degli studenti iscritti e non la capacità del sistema di produrre buoni laureati in tempi certi. La nostra capacità di laureare rispetto alla media nazionale è peggiorata e i nostri studenti impiegano mediamente più tempo a laurearsi. Migliorare la qualità significa laureare più persone in tempi più brevi mantenendo elevato il livello di qualità finale. Per questo bisogna garantire a ogni studente iscritto il diritto a essere seguìto con attenzione nel processo formativo».

Michela Corridore

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