L'Aquila, a giudizio per aver diffamato l’uomo della Pezzopane
Maiorano accusato da Coccia Colaiuta, il pm chiude le indagini. A luglio l’udienza in tribunale
L’AQUILA. La guerra giudiziaria fra i nemici storici Simone Coccia Colaiuta, l’uomo della senatrice Stefania Pezzopane, e Alessandro Maiorano, toscano vicino alle posizioni del Movimento 5 Stelle, si arricchisce di un altro capitolo.
Il pm della Procura dell’Aquila, David Mancini, a conclusione delle indagini, ha chiesto la citazione diretta a giudizio di Maiorano. Quest’ultimo è accusato di diffamazione poiché, come evidenziato dal pm nel decreto di citazione, «attraverso il social network facebook, con più azioni consecutive di un medesimo disegno criminoso, offendeva l’onore e la reputazione di Coccia Colaiuta».
Maiorano, secondo le accuse, ha postato diverse offese nei confronti di Colaiuta («ridicolo, raccomandato, fallito...) e della sua compagna, la senatrice Pezzopane («...ti denuncio, mi metto a indagare sulla Pezzopane e vediamo che salta fuori...»).
L’udienza davanti al giudice monocratico del tribunale aquilano è fissata per il 5 luglio 2016.
I veleni fra Maiorano e Colaiuta sono venuti a galla la scorsa estate. Dopo anni di vecchie ruggini.
A luglio il toscano vicino ai 5 Stelle, in polemica anche con il presidente del consiglio Matteo Renzi, aveva depositato una denuncia in una questura. Tutto era nato dalla pubblicazione degli atti su una presunta estorsione a carico di 4 persone (per la vicenda sono indagati Gianfranco Marrocchi, Giovanni Volpe, Raimondo Onesta e Marco Minnucci) ai danni della senatrice Stefania Pezzopane e dell’ex presidente della Regione, Gianni Chiodi, dalla cui lettura Maiorano aveva ritenuto esserci, a sua volta, una tentata estorsione ai suoi danni da parte di Coccia Colaiuta e del suo manager Ivan Giampietro.
Una denuncia scritta dall’avvocato Carlo Taormina.
«Il manager di Coccia Colaiuta, Ivan Giampietro», era riportato nella denuncia, «nel corso della telefonata del 21 novembre 2014 faceva balenare al Coccia Colaiuta l’idea di sfruttare la mossa attuata dal sottoscritto (una denuncia) per spillargli denaro basando il ricatto sulla violazione della privacy pretesamente posta in essere con la comunicazione fatta a Giampietro». ©RIPRODUZIONE RISERVATA