tragedia via d'annunzio

L'Aquila, crollo con 13 vittime, condanna e sconto

I giudici hanno ridotto da 3 anni e mezzo a 22 mesi la pena all’ingegnere Cimino che diresse i restauri del palazzo

L’AQUILA. Morirono in tredici nel groviglio di ferro e cemento del palazzo di via D’Annunzio, che la notte del 6 aprile 2009 crollò per la devastante scossa delle 3,32. Ieri, dopo una lunga camera di consiglio, la Corte d’Appello ha confermato la condanna a carico dell’ingegnere che fece i restauri ma la pena è stata assai ridimensionata: dai 3 anni e mezzo in primo grado si è passati a un anno e dieci mesi per omicidio colposo plurimo. Il collegio, dunque, ha accolto solo in parte la richiesta di condanna invocata dal pg Ettore Picardi che aveva richiesto tre anni di carcere.

Lo stesso Picardi ha riconosciuto che il progetto originario del palazzo, nel 1961, era viziato da gravissimi errori di costruzione, per cui sarebbe comunque crollato. Ma, nel progettare alcuni lavori di ristrutturazione dei pilastri, effettuati 15 anni fa, Cimino avrebbe commesso delle omissioni. A suo carico, secondo l’accusa, trattandosi di manutenzione straordinaria, ci sarebbe stata la mancata valutazione delle condizioni di staticità del palazzo. «Avrebbe avuto l’obbligo», ha detto il pg, «di esaminare il complesso della realtà statica e avrebbe capito come la situazione fosse problematica scongiurando la morte di quelle persone». Insomma, non sarebbero stati fatti dei calcoli da parte del tecnico che è stato individuato come «una figura di garanzia».

Stefano Rossi, difensore di Cimino, sostenendo una diversa interpretazione del caso, ha evidenziato che l’imputato non aveva alcun obbligo giuridico di provvedere al ricalcolo del vecchio edificio; in quanto avrebbe dovuto fare rilievi incompatibili con l’incarico iniziale di ristrutturare sei colonne che gli fu affidato dall’assemblea di condominio. Rossi, una volta rese note le motivazioni, ricorrerà in Cassazione. Le parti civili sono rappresentate dagli avvocati Bernardino Ciucci, Francesco Valentini, Antonio Milo, Donatella Boccabella, Antonio Di Mizio, Francesco Carli, Alessandro De Paulis, Ascenzo Lucantonio.

A questo processo, presieduto dal giudice Fabrizia Ida Francabandera, ne seguirà in appello uno parallelo relativo a un altro imputato, Filippo Impicciatore di 83 anni, originario di Perano (Chieti), che si è occupato della costruzione originaria del palazzo nel 1961. Gli altri costruttori sono deceduti. All’uomo, condannato in primo grado a 3 anni, vengono addebitate le stesse accuse ma le notifiche in Venezuela, dove vive da anni, hanno ritardato il procedimento, spingendo il giudice a separare i filoni. Per la verità la certezza che abbia ricevuto gli atti non c’è.

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