L'Aquila, crollo in centro: nuova richiesta di soldi ai superstiti
Via Campo di Fossa, l’Avvocatura dello Stato: «Dovevano vigilare sulle condizioni del fabbricato». La difesa: «Richiesta temeraria»
L’AQUILA. Il tribunale ha fissato per il 19 giugno un’ udienza, di fatto la prima dopo una serie di rinvii, riguardante una richiesta choc di risarcimento da parte dell’Avvocatura dello Stato verso i proprietari degli appartamenti del palazzo di via Campo di Fossa dove, a causa del crollo imputabile al sisma, morirono 24 persone. In quella data le parti si incontreranno anche se molto probabilmente il perito, che deve relazionare al riguardo, chiederà un rinvio a settembre per fare le sue complesse valutazioni in tema di responsabilità.
In sostanza i ministeri delle Infrastrutture e dell’Interno, tramite l’Avvocatura, sostengono che nel nostro ordinamento incombano sui titolari degli immobili delle presunzioni di responsabilità. Quella in questione poggia sul fatto che «qualora la rovina dipenda da un vizio di costruzione il proprietario sarà sempre responsabile anche nei casi in cui i vizi siano occulti e non si manifestino con vizi evidenti e visibili di pericolo quali possono essere crepe o avvallamenti conseguenti a errori del costruttore, inteso ovviamente nella sua accezione più ampia». Come a dire che i parenti delle vittime, oltre ad avere perso i loro cari e aver visto il palazzo crollare, ora devono anche pagare cifre incredibili.
Che ci siano errori dei costruttori non c’è dubbio secondo le perizie che fece la Procura. Infatti la magistratura, pur non potendo procedere in quanto i presunti responsabili del crollo erano morti da oltre 15 anni, aveva individuato gravi errori nella costruzione di quel palazzo, fatto negli anni Sessanta, a carico del progettista architettonico, del direttore dei lavori, dell’esecutore dei calcoli strutturali del palazzo, di un collaudatore e di un paio di funzionari del Genio civile che dettero l’ok a un progetto che sotto il profilo antisismico lasciava molto a desiderare. E, infatti, a fronte di una scossa forte, ma che avrebbe dovuto sopportare, il palazzo, che era in centro storico e realizzato in cemento armato, implose come fosse di cartapesta.
Secondo le carte della Procura ci sarebbe stata anche una responsabilità del Comune per avere rilasciato, circa 50 anni fa, un certificato di agibilità con il quale si facevano attestazioni poi smentite dagli eventi.
Ma cosa può essere imputato ai titolari del palazzo, i quali certe cose non le potevano sapere? L’avvocatura dello Stato ritiene che costoro siano corresponsabili al 30 per cento.
Di certo l’avvocato che difende i resistenti, Luciano Dell’Orso, nella sua comparsa di risposta, parla di domanda pretestuosa e temeraria formulata dai ministeri. Fermo restando che «il diritto risarcitorio fondato sulla predetta disposizione sia esercitabile dal solo danneggiato».
Si tratta, dunque, di una vicenda molto simile a quella per la quale la stessa avvocatura ha chiesto la restituzione dei soldi ad alcune parti civili della Grandi rischi. Ma lì, almeno, esiste una sentenza su cui fare perno. Anche se da fonti vicine al governo si parla di rimedi legislativi per evitare questa sorta di scempio. In questo caso specifico, invece, non esiste nemmeno una decisione dell’autorità giudiziaria.
©RIPRODUZIONE RISERVATA