L'Aquila, dirigente Asl condannato per il doppio lavoro

I giudici contabili: l’ingegnere Tursini deve pagare 266mila euro all’Azienda sanitaria. La difesa: rispettate le regole

L’AQUILA. La Corte dei conti ha condannato Mauro Antonello Tursini, ingegnere, dirigente Asl, al pagamento di 266mila euro a favore dell’Azienda sanitaria, con l’accusa di aver svolto, per alcuni anni, in modo non occasionale, una rilevante attività professionale privata, inizialmente senza la prevista autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza e poi in difformità della stessa. Insomma, un caso di doppio lavoro.
L’ACCUSA. Secondo il pm contabile, Tursini, già sindaco di Ocre, pur vincolato da un rapporto di lavoro con l’Asl, avrebbe svolto per suo conto un’attività professionale «in palese violazione del provvedimento di autorizzazione, intervenuto nel luglio 2012». Si contestava la violazione «del precetto normativo che sanziona il divieto di svolgere incarichi retribuiti non conferiti o autorizzati dall’ente di appartenenza». Più in particolare, per l’accusa, è stato violato il precetto che prevede anche l’obbligo di versamento del compenso indebitamente ricevuto dal dipendente pubblico su un conto corrente dedicato dell’amministrazione d’appartenenza, per essere destinato a incrementare il fondo di produttività dell’ente. Le investigazioni hanno fatto emergere un danno erariale patito dalle pubbliche finanze, proprio per i mancati versamenti dei compensi da parte del dipendente pubblico, per un importo complessivo che inizialmente l’accusa aveva individuato in 335mila euro. Entità poi ridotta dal collegio.
LA DIFESA. Il convenuto, tramite il suo avvocato, ha fatto una serie di contestazioni chiedendo l’assoluzione e, in subordine, una forte riduzione dell’addebito. In primo luogo ha sostenuto che il collegio giudicante era del tutto incompatibile in quanto i componenti Tommaso Miele, Federico Pepe, Gerardo De Marco, si sono occupati della causa in fase cautelare. Più in particolare l’avvocato Francesco Camerini ha precisato che non intendeva formalizzare una istanza di ricusazione, ma solo portare all’attenzione della Corte «la questione della effettiva serenità di giudizio dei componenti del collegio giudicante». Inoltre ha evidenziato la sussistenza dell’autorizzazione rilasciata dall’Azienda sanitaria sostenendo il legittimo esercizio dell’attività extralavorativa sulla base della normativa vigente «che non precludeva affatto lo svolgimento di essa». Rimarcata, inoltre, la natura occasionale, priva di stabilità, dei rapporti professionali saltuariamente intrattenuti.
LA DECISIONE. I giudici, dunque, hanno condannato Tursini al pagamento di 266mila euro all’Asl oltre alla rivalutazione e interessi legali. Nella sentenza, infine, si afferma che il sequestro conservativo si deve convertire in pignoramento. Contro questa decisione potrà essere presentato un ricorso a Roma. Ecco alcuni passi della lunga motivazione. «Ai fini del convincimento della Corte», si legge nella motivazione, «va aggiunto che l’interessato era titolare di partita Iva e ha dichiarato i compensi in parola, ai fini fiscali, quali proventi di attività professionale e non quali prestazioni occasionali. Che la frequenza, la natura e l’ammontare dei compensi percepiti, nel loro complesso depongono per la natura non occasionale e saltuaria delle attività extralavorative. E, inoltre, che l’omessa comunicazione, da parte dell’interessato, delle attività concretamente svolte e dei correlati compensi, ha impedito, di fatto, all’amministrazione di cogliere l’effettiva natura delle attività stesse violando un obbligo di cui lo stesso convenuto si era espressamente dichiarato ben consapevole nella richiesta di autorizzazione. Ciò posto, la Corte ritiene che lo svolgimento di attività difformi e ulteriori da quelle autorizzate espressamente sia assimilabile, ai fini che qui interessano, allo svolgimento di attività allo svolgimento di attività carenti di autorizzazione con la conseguenza dell’obbligo di devoluzione del relativo compenso all’amministrazione». Secondo i giudici, inoltre gli incarichi autorizzati erano stati indicati in maniera generica, sicché l’autorizzazione necessitava di integrazione ex post. In questa ottica, a rigore l’autorizzazione non potrebbe essere operante per il fatto che non consente di individuare puntualmente gli incarichi che ne formano oggetto e i compensi.
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