il caso
L'Aquila, giovane condannato per i ricatti hard a un prete
Inflitti trenta mesi allo studente israeliano denunciato da don Luigi Abid, ex parroco di San Raniero di Civita di Bagno
L’AQUILA. Costano cari allo studente israeliano Mehrez Amara i ricatti all’ex parroco di San Raniero di Civita di Bagno, don Luigi Abid Sid, nell’ambito del processo sugli sms hard inviati dal prete al giovane che poi lo ricattò minacciando di divulgarli: il giudice per le udienze preliminari del tribunale Guendalina Buccella ha condannato l’israeliano di origini palestinesi, a due anni e mezzo di reclusione per estorsione dopo un rito abbreviato. La stessa pena era stata chiesta dal pm Simonetta Ciccarelli mentre la difesa aveva puntato alla derubricazione del reato in truffa.
Si è concluso, dunque, il primo atto di una vicenda che quando venne alla luce scosse non poco la Curia aquilana al punto che poco dopo il parroco dovette lasciare l’incarico su invito dell’arcivescovo Giuseppe Petrocchi. «Una scelta», così recitò un comunicato della Curia, «per rispondere a un bisogno di trasparenza e lealtà verso la comunità ecclesiale e sociale». Ma anche una scelta obbligata visto che il diritto canonico punisce «chi arreca turbamento alla comunità ecclesiale».
E il caso del parroco fu emblematico in tal senso visto il furore di alcuni fedeli nell’apprendere i contenuti degli sms. La vicenda giudiziaria fu avviata da una denuncia del religioso alla squadra Mobile, nella quale asseriva, per l’appunto, di essere stato ricattato dallo studente universitario, da lui conosciuto in quanto ospite nella Nuova casa dello studente “San Carlo Borromeo” gestita dalla Curia; questi lo avrebbe ricattato con la minaccia di diffondere gli sms hard intercorsi tra loro qualora non gli avesse dato dei soldi. Una divulgazione che non avrebbe certo giovato all’immagine del sacerdote, all’epoca assistente spirituale di Casa Savoia e cappellano dell’Istituto Nazionale per la Guardia d’onore alle Reali tombe del Pantheon ed ex rettore del santuario della Jenca.
Stanco di subire i ricatti, il prete, pur consapevole del caos mediatico che poi sarebbe scoppiato, raccontò tutto alla polizia e lo studente di Medicina fu arrestato. Cadde in una trappola della Mobile: il sacerdote gli dette appuntamento all’Aquilone per la consegna dei soldi, ma il giovane ci trovò la polizia che lo arrestò, provvedimento poi convalidato dal giudice. Nel corso delle indagini gli investigatori sequestrarono il cellulare dell’imputato, ieri in aula, ed elemento che ha fornito pezze d’appoggio alla Procura. Per la verità fu esaminato anche il cellulare del sacerdote, ma senza conseguenze. Nel corso del giudizio l’imputato è stato assistito dagli avvocati Massimiliano Venta ed Ernesto Venta che ricorreranno in appello.
©RIPRODUZIONE RISERVATA