«L’investitore è l’uomo del furgone»

Donna travolta e uccisa a Marana, gli esami dei carabinieri inchiodano l’unico indagato. Obbligo di dimora per l’avezzanese

L’AQUILA. «L’investitore è l’uomo del furgone». Il giallo dell’incidente stradale di Marana di Montereale, costato la vita alla 62enne Antonietta Durastante, si avvia a soluzione. Gli accertamenti dei carabinieri, con il coordinamento del procuratore della Repubblica facente funzioni Stefano Gallo, incastrano l’autista del furgone del servizio di corriere espresso che il 2 novembre 2015, mentre percorreva la 260 Picente, chiamò i soccorsi. L’uomo, già indagato nelle primissime fasi della delicata indagine, è ora sottoposto alla misura dell’obbligo di dimora disposta dal gip. Gli è stata anche sequestrata la patente (in attesa della revoca da parte della prefettura). La misura cautelare, sostanzialmente, è motivata dal fatto che s’intende limitare il più possibile l’uso della macchina da parte dell’indagato.

NON PUÒ USCIRE DI NOTTE. I carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile, comandati dal tenente Maximiliano Papale, hanno notificato la prescrizione di non allontanarsi da casa dalle 20 alle 7, nei confronti di Fabrizio Pacilli, di 30 anni, originario di Avezzano, dove vive. Fu proprio il giovane a prestare i primi soccorsi alla donna. Questi, infatti, al momento dell’arrivo del 118, aveva dichiarato di aver visto al suo passaggio la donna a terra e di essersi fermato dopo qualche metro per prestarle assistenza. «Effettivamente, a chiedere l’ausilio del 118 è stato proprio il giovane», fanno sapere gli investigatori, «che, però, nascondeva dettagli importanti». Le indagini sono state sviluppate dai marescialli Fabio Galasso e Domenico Scarfagna, che hanno ricostruito la dinamica anche grazie all’ausilio di alcune telecamere a circuito chiuso poste lungo il tragitto percorso dall’indagato. Dalle immagini, per l’accusa, già si notava un’alta velocità del mezzo condotto dall’indagato, «che, nonostante percorresse il centro abitato, poneva in essere un sorpasso azzardato pur in presenza della striscia continua che lo vietava». Le indagini, però, risultavano da subito difficoltose per l’assenza di testimonianze oculari. A quel punto è stato necessario confrontare le dichiarazioni del giovane con le risultanze ottenute dai suoi tabulati telefonici. Altri elementi sono poi emersi dall’analisi del cronotachigrafo del furgone per corriere espresso. Il puzzle così ha cominciato a ricomporsi proprio intorno al giovane.

IL BUS TUA NON C’ENTRA. Tuttavia, senza tralasciare alcuna pista, i carabinieri hanno sequestrato anche un autobus di linea, poi dissequestrato una volta accertata l’estraneità ai fatti. Poi, su impulso del pm Gallo, è stato coinvolto il Reparto investigazioni scientifiche di Roma. Il mezzo è stato passato ai raggi X, così come il pullman, poi uscito di scena. La relazione dell’anatomopatologo ha fornito altri indizi importanti, insieme agli esiti di una perizia. Le prime indicazioni offerte dal medico legale portavano gli inquirenti a ridurre il campo d’azione a mezzi pesanti poiché le ferite letali non potevano che essere compatibili con quel tipo di veicolo. I carabinieri, in quell’arco orario, avevano certezza che erano passati su quella strada prima l’autobus di linea e poi il mezzo del corriere espresso.Dalle dichiarazioni rese dal conducente e dal trasportato dell’autobus, gli inquirenti hanno accertato che la donna vittima dell’incidente, al momento del passaggio del bus sul rettilineo di Marana, si trovava 200 metri prima del punto d’impatto, distanza che risultava compatibile con il passaggio del furgone avvenuto 1 minuto e mezzo dopo quello dell’autobus. «È verosimile», sostiene l’accusa, «che la donna sia stata investita proprio nel momento in cui tentava di attraversare la strada per far rientro a casa». Sui mezzi hanno lavorato gli uomini del Ris, con una ricostruzione dell’accaduto mediante l’utilizzo di un manichino. Il punto d’impatto, secondo l’accertamento, è lo spigolo anteriore destro del cassone. Sul veicolo sono state ritrovate tracce di fibre riconducibili agli indumenti dell’investita. Analoghi riscontri sul giubbetto della donna, con tracce di vernice rossa. La famiglia della vittima si è costituita parte civile nominando l’avvocato Guido Alfonsi.

LE ACCUSE. L’iniziale capo d’imputazione di una probabile omissione di soccorso e di omicidio colposo ad opera di ignoti, si è quindi modificata nel solo omicidio colposo. Ai fatti accaduti non è applicabile la recente normativa sull’omicidio stradale, poiché intervenuta successivamente.

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