La città di “Lillino”: Colapietra narra le famiglie aquilane

Lo storico regala domani una conversazione in Biblioteca Sullo sfondo le figure dei Camerini, Marinucci e Lopardi

L’AQUILA. Analizzare le dinamiche sociali, storiche e politiche dell’Aquila tra la fine del 1800 e quella del 1900 attraverso le vicende delle tre famiglie più rappresentative della città. È l’obiettivo dell’incontro “Camerini, Marinucci, Lopardi: tre famiglie una città. Soliloquio aquilano di Lillino Colapietra” che si terrà domani alle 17 nella sede della biblioteca provinciale, a Bazzano.

Seduto sulla poltrona di casa, con in braccio un gattino dal lungo pelo nero, nato da poche settimane, ne anticipa i contenuti lo stesso autore, lo storico Raffaele Colapietra.

Partiamo dal titolo dell’incontro. Ce lo spiega?

«Intanto, Lillino: è il nome con cui sono stato conosciuto all’Aquila fino a 20, 30 anni. Delimita dunque per me un periodo storico: gli anni ’50, quelli di cui parlerò. Anni in cui le tre famiglie di cui ho riportato i nomi nel titolo hanno rappresentato vari aspetti della società. Soliloquio perché sarò solo a parlare: è come se parlassi con me stesso».

Com’è nata l’idea dell’incontro?

«Il tutto è stato suscitato da uno spunto emozionale: sono morti a luglio, nel giro di poche settimane, i due rappresentanti principali delle famiglie in questione: Vincenzo Camerini, magistrato, e Bernardino Marinucci, avvocato. Per me due compagni di scuola. Negli stessi giorni, insieme a loro, anche altri illustri rappresentanti di quel periodo sono venuti a mancare. Ho avuto la sensazione di un mondo scomparso che desidero rievocare, non in forma sentimentale, però».

Perché la scelta della biblioteca provinciale come luogo dell’incontro?

«Purtroppo oggi la sede della biblioteca è disagiata e penso che questa sia stata una scelta. Personalmente, ho solo con la biblioteca provinciale un rapporto di collaborazione, altri non credono di doversi rivolgere a me. Sono stato il protagonista della cultura aquilana dopo il terremoto. Nella famigerata mostra allestita alla Guardia di finanza nel luglio 2009, per cui sono state stampate 6mila copie del catalogo in lingua italiana e inglese, mi hanno chiesto di presentare la città. Ho collaborato con supreme autorità, ho ricevuto grandi inchini e salamelecchi, sono stato presentato come il più grande storico aquilano. Ormai penso di non essere molto amato».

Da quale fatto storico prenderà le mosse l’incontro?

«Partirò dal 1703, anno del terremoto. In quei giorni sia i Marinucci sia i Camerini erano presenti all’Aquila, ma agirono diversamente rispetto ai politici che hanno gestito il terremoto del 2009. Semplicemente, in mezzo a migliaia di morti, molti di più dell’ultimo sisma, agirono in modo normale, che spiegherò. Dimostrarono allora che si può continuare a vivere anche in mezzo alle macerie, alla morte, al finimondo. Invece nel 2009 L’Aquila in 24 ore è scomparsa e ancora non la rivediamo. Non si è avuta nessuna normalità. Il sindaco ha dichiarato zona rossa tutto il Comune, prima ancora di vedere la situazione, tutto è stato messo in mano alla Protezione civile che ha fatto in modo di far scomparire 35mila persone il cui comportamento è stato indotto, ma che non sono state deportate. Nella mia casa la Protezione civile è venuta due volte e mi ha detto di uscire. Non l’ho fatto, ma nessuno mi ha afferrato e trascinato fuori. Berlusconi è venuto in città 31 volte. Giolitti, quando ci fu il terremoto di Messina, non andò neanche una volta, il re andò due volte nella Marsica nel 1915. La verità è che questa catastrofe si aspettava da tempo, con sicurezza. La nomina di Gabrielli a prefetto dell’Aquila, un nome eccezionale per una città di second’ordine, non è casuale. Qualcuno pensò: “Succede il finimondo e nel finimondo faccio il G8”. Un evento da cui L’Aquila non ha ottenuto nulla o quasi».

Insomma, a suo avviso c’è da rimpiangere il passato?

«Non faccio pettegolezzi né apologie. Non dico che questi grandi uomini abbiano dato lustro alla città. Anzi finirò con una forte stangata alla megalomania degli aquilani, come sempre ho fatto».

Quali, oggi, le famiglie o i personaggi aquilani più rappresentativi?

«Oggi penso sia necessario parlare di persone e non di famiglie. Roberto Marotta, Marco Fanfani, Rinaldo Tordera sono forse adesso i personaggi più rappresentativi. Personaggi di cui non si può fare a meno, provvidenziali. Due di questi non sono aquilani, ma sanno come prendere gli aquilani in termini di megalomania, di spettacolarità, di apparenza. Non è difficile vivere all’Aquila, bisogna saperlo fare. È facile per chi viene da fuori travestirsi da ultra aquilano».

Quali le principali differenze tra i personaggi di allora e quelli di oggi?

«Intanto l’origine sociale. Quelle di cui parlerò sono tre famiglie di avvocati. Oggi nessun avvocato è protagonista della vita cittadina, tranne il caso di Attilio Cecchini. È possibile dunque leggere una profonda trasformazione nella professione».

Come si concluderà il suo “soliloquio”?

«Concluderò in termini sentimentali parlando della mia città e degli aquilani, spiegando anche perché a mio avviso l’aquilanitas non esiste».

Michela Corridore

©RIPRODUZIONE RISERVATA