La libertà di Ignazio Silone
Sabato all'Aquila il convegno sullo scrittore marsicano
Un intellettuale scomodo contro tutti i totalitarismi è l'esaustivo sottotitolo del convegno in programma sabato 30 (alle 17, a palazzetto dei Nobili all'Aquila) dedicato a Ignazio Silone. L'incontro parte dalla presentazione del libro «Silone la libertà» (Guerini e Associati) a cura di Aldo Forbice.
Al convegno di sabato sono previsti gli interventi di Massimo Teodori, storico e politologo; Antonio Landolfi, docente universitario; Dario Fertilio, del Corriere della Sera; Aldo Forbice, presidente nazionale della Fondazione Ignazio Silone. Coordina Paolo Di Vincenzo, giornalista del Centro. Il volume raccoglie gli interventi del convegno tenuto lo scorso anno, il 18 marzo 2006, ma è integrato anche da alcuni testi inediti, come i saggi di Luigi Lombardi Satriani, Angelo Russi e Massimo Teodori. Completano l'antologia tre testi: una lettera della vedova Silone, Darina Laracy; il testo di un discorso di Sergio Zavoli e la testimonianza di un siloniano doc, Ottaviano Del Turco. Di seguito pubblichiamo un ampio stralcio dell'intervento di Aldo Forbice, dal titolo «Avversario tenace di ogni forma di autoritarismo» in cui l'autore disegna un ritratto a tutto tondo dello scrittore marsicano (a cominciare dal suo solido anticomunismo e antifascismo) per confutare le accuse di collaborazionismo con la polizia politica fascista, avanzata dagli storici Biocca e Canali.
«Ignazio Silone è indubbiamente uno degli intellettuali più affascinanti del Novecento. Come scrittore è certamente fra i più conosciuti nel mondo. Le sue opere (da Fontamara a Fascismo, Pane e vino, La scuola dei dittatori, Il seme sotto la neve, Uscita di sicurezza, Il segreto di Luca, La volpe e le camelie, L'avventura di un povero cristiano e altre) sono state tradotte in tutte le lingue.
Come politico è certamente un grande maestro di democrazia, di laicismo, di tolleranza, un indiscutibile combattente per la libertà, il socialismo, contro ogni forma di autoritarismo, per l'unificazione dell'Europa. Uno scrittore, un politico inquieto e complesso, che non rinunciò mai a lottare per le idee di giustizia sociale, per difendere la dignità e i diritti dei cafoni del suo Abruzzo e di quelli dei lavoratori della terra di tutto il mondo. Silone si sentiva prestato alla letteratura, era diventato uno scrittore per caso, per ragioni economiche e alla ricerca di uno sfogo, una sorta di terapia, per superare le delusioni e le brucianti sconfitte politiche. Lo ammette lui stesso in vari scritti (articoli, lettere, romanzi, testimonianze). In una lettera a Biemel (2 settembre 1937) scrive:
La creazione artistica, man mano che mi diviene più facile e sicura, mi appare come una funzione naturale, spontanea, inevitabile, insostituibile da me stesso. Tutte le mie esperienze precedenti, che certamente non rinnego, mi appaiono come un tempo di maturazione segreta. Il bisogno di verità e di sincerità che mi ha allontanato dalla politica dei partiti, è l'impulso principale che mi sostiene nel lavoro letterario. Non solo non ho voluto ritrattare niente del mio non conformismo politico precedente, ma credo di averlo approfondito molto, di avergli dato un contenuto che lo rende inconciliabile e irriducibile a tutti i compromessi. La creazione artistica è stata per me una lotta nella quale il mio spirito, liberato da angosce precedenti, allontanato, affrancato, appartato da un mondo confuso ed equivoco, ha cercato di mettere ordine e ha creato un mondo a sé, un mondo semplice, chiaro, evidente, un mondo fittizio ma vero, in tutti i casi più vero del mondo reale e apparente, di cui riproduce la verità nascosta e difesa. (...)
Vengo dalla stessa regione che ha dato alla letteratura, insieme a molti altri, Ovidio e D'Annunzio. D'Annunzio ha dato dell'Abruzzo delle belle descrizioni superficiali e sensuali, prendendo in prestito immagini dalla mitologia greca, dal Rinascimento, un po' da tutti. Ha dato all'Abruzzo un manto verbale meraviglioso. Confronti l'Abruzzo di D'Annunzio con quello de “Il pane e il vino” e avrà i volti apparenti e il volto segreto di una regione dell'Italia meridionale. Il mio mondo artistico vuole essere semplice, chiaro, evidente. Tanto più che il romanticismo, il naturalismo, il populismo e gli altri “ismi” mi sono estranei. I miei mezzi di espressione si sono adattati al mondo che rappresento, vale a dire, sono il più possibile chiari, semplici, evidenti. Rinuncio a creare una vita fittizia e apparente con dei giochi di luce sugli oggetti; non voglio che un gatto sembri una tigre, un cane rassomigli a un orso, una radice a un serpente. Preferisco chiamare gatto un gatto, cane un cane, radice una radice. Quello che mi interessa sono i rapporti tra le cose, i rapporti in cui le cose si rivelano e con le quali si tengono e formano il mondo. Amo mostrare ogni cosa al suo posto e non tutto insieme. (...) Amo questo mondo per l'odio che provo per l'altro, quello che è equivoco, confuso, retorico, parassitario, mondo di parata e di apparenza, mondo di valori falsi, che vive di monete false. Il mio lavoro contiene prima un giudizio, poi una spiegazione, infine una rappresentazione (...).
La propaganda non è un mio scrupolo. Nel lavoro non mi preoccupo di provare qualche cosa. Ma è del tutto naturale che ricreando il mondo, i lettori apprendano delle verità che nella vita normale si ha cura di nascondere. Solo la verità può accrescere la coscienza, arricchirla, fortificarla, liberarla; solo lei può affermare la dignità umana contro tutto ciò che l'offende e la disprezza. Così l'artista vero è sempre, anche se non lo vuole, un educatore.
Ho voluto riportare la lunga citazione di Silone perché in queste parole è racchiusa la sua concezione di intellettuale libero, non soggiogato ad alcuna rigida corrente, né a una scuola di pensiero, a un partito, chiesa o lobby culturale e politica.
E lo scrittore lo chiarisce meglio in questo brano della stessa lettera:
Credo che l'essenziale, oggi, è porre le domande. Nei Paesi della Propaganda è proibito domandare. Non ci sono domande, solo delle risposte.
Risposte a senso unico. Gli altoparlanti (che costituiscono le istanze più elevate dei paesi della Propaganda) non hanno orecchie per intendere delle domande, ma solo una grande bocca per dare delle risposte.
Silone aveva conosciuto, al tempo della sua militanza nel Pci, i regimi comunisti dell'Unione sovietica. Prima degli altri aveva capito l'assoluta mancanza di libertà di quei governi dittatoriali, i comportamenti autoritari e illiberali dei massimi dirigenti comunisti, a cominciare da Stalin, così osannato e temuto (per i suoi crimini, anche se l'ampiezza e la gravità di tanti orrori si conoscerà solo dopo la morte del dittatore, con il XX congresso del Pcus) da tutti i leader comunisti europei (Togliatti compreso). E sarà proprio il contatto ravvicinato con gli ambienti del Comintern che alimenterà in Silone i dubbi, le perplessità, che sfoceranno poi in una crisi, sempre più irreversibile, della sua militanza nel Pci. Egli, come racconta in Uscita di sicurezza, matura con sofferenza la sua uscita dal Partito comunista, dopo aver constatato la crescente “degenerazione tirannica e burocratica” e la doppiezza e brutalità della classe dirigente dell'Urss, che Togliatti e gli altri dirigenti del Pci negavano con gli argomenti più falsi e pretestuosi, arrogandosi il diritto di depositari della assoluta “verità marxista”. C'è voluto poi il XX congresso del Pcus (Rapporto Krusciov) per fare emergere le prime rivelazioni su quel regime di schiavismo, di gulag e di oppressione. Ma Silone molti anni prima non veniva creduto, anzi era sottoposto a critiche durissime, sbeffeggiato, e in seguito, dopo l'espulsione, non vennero risparmiati gli insulti più umilianti (rinnegato, traditore, pidocchio ecc.) dallo stesso Togliatti».
* presidente nazionale della Fondazione Ignazio Silone
Al convegno di sabato sono previsti gli interventi di Massimo Teodori, storico e politologo; Antonio Landolfi, docente universitario; Dario Fertilio, del Corriere della Sera; Aldo Forbice, presidente nazionale della Fondazione Ignazio Silone. Coordina Paolo Di Vincenzo, giornalista del Centro. Il volume raccoglie gli interventi del convegno tenuto lo scorso anno, il 18 marzo 2006, ma è integrato anche da alcuni testi inediti, come i saggi di Luigi Lombardi Satriani, Angelo Russi e Massimo Teodori. Completano l'antologia tre testi: una lettera della vedova Silone, Darina Laracy; il testo di un discorso di Sergio Zavoli e la testimonianza di un siloniano doc, Ottaviano Del Turco. Di seguito pubblichiamo un ampio stralcio dell'intervento di Aldo Forbice, dal titolo «Avversario tenace di ogni forma di autoritarismo» in cui l'autore disegna un ritratto a tutto tondo dello scrittore marsicano (a cominciare dal suo solido anticomunismo e antifascismo) per confutare le accuse di collaborazionismo con la polizia politica fascista, avanzata dagli storici Biocca e Canali.
«Ignazio Silone è indubbiamente uno degli intellettuali più affascinanti del Novecento. Come scrittore è certamente fra i più conosciuti nel mondo. Le sue opere (da Fontamara a Fascismo, Pane e vino, La scuola dei dittatori, Il seme sotto la neve, Uscita di sicurezza, Il segreto di Luca, La volpe e le camelie, L'avventura di un povero cristiano e altre) sono state tradotte in tutte le lingue.
Come politico è certamente un grande maestro di democrazia, di laicismo, di tolleranza, un indiscutibile combattente per la libertà, il socialismo, contro ogni forma di autoritarismo, per l'unificazione dell'Europa. Uno scrittore, un politico inquieto e complesso, che non rinunciò mai a lottare per le idee di giustizia sociale, per difendere la dignità e i diritti dei cafoni del suo Abruzzo e di quelli dei lavoratori della terra di tutto il mondo. Silone si sentiva prestato alla letteratura, era diventato uno scrittore per caso, per ragioni economiche e alla ricerca di uno sfogo, una sorta di terapia, per superare le delusioni e le brucianti sconfitte politiche. Lo ammette lui stesso in vari scritti (articoli, lettere, romanzi, testimonianze). In una lettera a Biemel (2 settembre 1937) scrive:
La creazione artistica, man mano che mi diviene più facile e sicura, mi appare come una funzione naturale, spontanea, inevitabile, insostituibile da me stesso. Tutte le mie esperienze precedenti, che certamente non rinnego, mi appaiono come un tempo di maturazione segreta. Il bisogno di verità e di sincerità che mi ha allontanato dalla politica dei partiti, è l'impulso principale che mi sostiene nel lavoro letterario. Non solo non ho voluto ritrattare niente del mio non conformismo politico precedente, ma credo di averlo approfondito molto, di avergli dato un contenuto che lo rende inconciliabile e irriducibile a tutti i compromessi. La creazione artistica è stata per me una lotta nella quale il mio spirito, liberato da angosce precedenti, allontanato, affrancato, appartato da un mondo confuso ed equivoco, ha cercato di mettere ordine e ha creato un mondo a sé, un mondo semplice, chiaro, evidente, un mondo fittizio ma vero, in tutti i casi più vero del mondo reale e apparente, di cui riproduce la verità nascosta e difesa. (...)
Vengo dalla stessa regione che ha dato alla letteratura, insieme a molti altri, Ovidio e D'Annunzio. D'Annunzio ha dato dell'Abruzzo delle belle descrizioni superficiali e sensuali, prendendo in prestito immagini dalla mitologia greca, dal Rinascimento, un po' da tutti. Ha dato all'Abruzzo un manto verbale meraviglioso. Confronti l'Abruzzo di D'Annunzio con quello de “Il pane e il vino” e avrà i volti apparenti e il volto segreto di una regione dell'Italia meridionale. Il mio mondo artistico vuole essere semplice, chiaro, evidente. Tanto più che il romanticismo, il naturalismo, il populismo e gli altri “ismi” mi sono estranei. I miei mezzi di espressione si sono adattati al mondo che rappresento, vale a dire, sono il più possibile chiari, semplici, evidenti. Rinuncio a creare una vita fittizia e apparente con dei giochi di luce sugli oggetti; non voglio che un gatto sembri una tigre, un cane rassomigli a un orso, una radice a un serpente. Preferisco chiamare gatto un gatto, cane un cane, radice una radice. Quello che mi interessa sono i rapporti tra le cose, i rapporti in cui le cose si rivelano e con le quali si tengono e formano il mondo. Amo mostrare ogni cosa al suo posto e non tutto insieme. (...) Amo questo mondo per l'odio che provo per l'altro, quello che è equivoco, confuso, retorico, parassitario, mondo di parata e di apparenza, mondo di valori falsi, che vive di monete false. Il mio lavoro contiene prima un giudizio, poi una spiegazione, infine una rappresentazione (...).
La propaganda non è un mio scrupolo. Nel lavoro non mi preoccupo di provare qualche cosa. Ma è del tutto naturale che ricreando il mondo, i lettori apprendano delle verità che nella vita normale si ha cura di nascondere. Solo la verità può accrescere la coscienza, arricchirla, fortificarla, liberarla; solo lei può affermare la dignità umana contro tutto ciò che l'offende e la disprezza. Così l'artista vero è sempre, anche se non lo vuole, un educatore.
Ho voluto riportare la lunga citazione di Silone perché in queste parole è racchiusa la sua concezione di intellettuale libero, non soggiogato ad alcuna rigida corrente, né a una scuola di pensiero, a un partito, chiesa o lobby culturale e politica.
E lo scrittore lo chiarisce meglio in questo brano della stessa lettera:
Credo che l'essenziale, oggi, è porre le domande. Nei Paesi della Propaganda è proibito domandare. Non ci sono domande, solo delle risposte.
Risposte a senso unico. Gli altoparlanti (che costituiscono le istanze più elevate dei paesi della Propaganda) non hanno orecchie per intendere delle domande, ma solo una grande bocca per dare delle risposte.
Silone aveva conosciuto, al tempo della sua militanza nel Pci, i regimi comunisti dell'Unione sovietica. Prima degli altri aveva capito l'assoluta mancanza di libertà di quei governi dittatoriali, i comportamenti autoritari e illiberali dei massimi dirigenti comunisti, a cominciare da Stalin, così osannato e temuto (per i suoi crimini, anche se l'ampiezza e la gravità di tanti orrori si conoscerà solo dopo la morte del dittatore, con il XX congresso del Pcus) da tutti i leader comunisti europei (Togliatti compreso). E sarà proprio il contatto ravvicinato con gli ambienti del Comintern che alimenterà in Silone i dubbi, le perplessità, che sfoceranno poi in una crisi, sempre più irreversibile, della sua militanza nel Pci. Egli, come racconta in Uscita di sicurezza, matura con sofferenza la sua uscita dal Partito comunista, dopo aver constatato la crescente “degenerazione tirannica e burocratica” e la doppiezza e brutalità della classe dirigente dell'Urss, che Togliatti e gli altri dirigenti del Pci negavano con gli argomenti più falsi e pretestuosi, arrogandosi il diritto di depositari della assoluta “verità marxista”. C'è voluto poi il XX congresso del Pcus (Rapporto Krusciov) per fare emergere le prime rivelazioni su quel regime di schiavismo, di gulag e di oppressione. Ma Silone molti anni prima non veniva creduto, anzi era sottoposto a critiche durissime, sbeffeggiato, e in seguito, dopo l'espulsione, non vennero risparmiati gli insulti più umilianti (rinnegato, traditore, pidocchio ecc.) dallo stesso Togliatti».
* presidente nazionale della Fondazione Ignazio Silone