La primavera anticipa il sisma e il saluto del prefetto Cozzani
Il 28 marzo 2009 il rappresentante del governo si congeda dall’incarico tracciando il bilancio «Serve un grande sforzo per risollevare l’economia locale». La furia della catastrofe era imminente
L’AQUILA. Sabato 28 marzo 2009 è giornata mite dal punto di vista climatico. Il termometro fa segnare una temperatura massima di 18 gradi. Il cielo è appena leggermente velato. È l’87° giorno dell’anno, alla fine ne mancano 278. Al terremoto, invece, ne mancano 9. Per 309 persone si stava avvicinando l’ultima settimana di vita. Ma nessuno, anche i più pessimisti o catastrofisti, poteva immaginarlo.
IL PREFETTO SALUTA. I giornali, fra altre notizie “ordinarie”, danno conto delle dichiarazioni del prefetto Aurelio Cozzani che il giorno prima aveva convocato una conferenza stampa per salutare la città. Dal 31 marzo avrebbe lasciato ufficialmente l’incarico. Il nuovo prefetto non era stato nominato. Il Centro faceva sapere che il posto resosi vacante sarebbe stato occupato temporaneamente dal viceprefetto Graziella Patrizi e annunciava che il nuovo rappresentante del governo sarebbe arrivato dopo le elezioni Provinciali ed Europee, cioè a giugno inoltrato. La mattina del 6 aprile 2009, poche ore dopo la scossa fatale, il ministro dell’Interno Roberto Maroni chiamò nel suo studio al Viminale il prefetto Franco Gabrielli (che all’epoca aveva 49 anni e vantava una lunga esperienza da servitore dello Stato) e lo inviò in fretta e furia all’Aquila. Oggi Gabrielli, dopo essere stato alla guida della Protezione civile nazionale (prese il posto di Guido Bertolaso), è il capo della polizia. Le dichiarazioni di Cozzani si rivelano interessanti. Di solito i prefetti durante l’espletamento del loro incarico non sono molto loquaci. Mantengono sempre un alto profilo istituzionale e misurano le parole. Quando vanno via, invece, un po’ si sbottonano. «Le infiltrazioni mafiose in provincia dell’Aquila non sono un fenomeno esteso», disse Cozzani, «perché qui il piatto non è ricco (lo sarebbe stato dopo il sisma, ndr). Però è anche vero che non bisogna abbassare la guardia, visto che la criminalità organizzata, per i suoi investimenti, cerca zone dove la lente d’ingrandimento delle forze dell’ordine è meno esasperata». Ma la riflessione si allargava anche ad altri aspetti: «Quando sono arrivato, alla fine del 2006», spiegò il prefetto, «ho trovato un territorio fermo, quasi statico, in particolare dal punto di vista economico. Poi ho capito che ciò era frutto di scelte rivelatesi sbagliate, come ad esempio l’aver puntato sull’industria elettronica la cui egemonia ora è passata in mani straniere. Ho potuto anche constatare che ci sono tante persone che hanno voglia di fare, a livello imprenditoriale, che però si scontrano con problemi oggettivi: istituzioni non abbastanza veloci nel proporre infrastrutture e servizi, oppure banche che non rilasciano crediti». Nel sommario del titolo, il pensiero dell’ormai ex prefetto veniva così sintetizzato: «Serve un grande sforzo per risollevare l’economia locale». Il rappresentante del governo certificava, in quel modo, una situazione di debolezza strutturale del tessuto produttivo del capoluogo sul quale stava per abbattersi la furia del terremoto: sul cotto l’acqua bollita.
L’ATENEO. Un paio di pagine dopo, un titolo ben evidente rivelava: “Il rettore attacca Confindustria. Di Orio: favorisce la Luiss e dimentica l’Ateneo aquilano”. Cos’era accaduto? Confindustria qualche giorno prima aveva organizzato un incontro nella sua sede per dare la possibilità alla Luiss di far conoscere agli studenti aquilani dell’ultimo anno delle superiori i suoi corsi e le prospettive di lavoro alla fine del periodo di studi. Il rettore Ferdinando Di Orio affermava stizzito: “Le università pubbliche abruzzesi non hanno nulla da invidiare alla Luiss, i nostri atenei sono fra i migliori in Italia per qualità”. Oggi L’Aquila ha, di fatto, due università. Il Gran Sasso Science Institute (Gssi) è ormai una realtà consolidata frequentata dai migliori cervelli di tutto il mondo. Non sapremo mai quale sarebbe stato l’atteggiamento di Di Orio – rispetto al Gssi – se fosse rimasto ancora qualche anno al timone dell’Ateneo (lasciò perché per legge il suo incarico non era più rinnovabile). Da come reagì nel caso Luiss forse non l’avrebbe presa benissimo. Ma non è detto.
GIÒ KAPPA. In una “breve” veniva poi data notizia di un premio di giornalismo dedicato a un personaggio indimenticato e indimenticabile, “Giò Kappa”, cioè Giuseppe Massari, che sette anni prima, ancora giovane, era stato sopraffatto da un male implacabile. A organizzare il premio era l’associazione “L’Idea di Clèves”. Si rendeva noto che la cerimonia di premiazione si sarebbe tenuta il 6 maggio 2009. La giuria presieduta da Stefania Pezzopane era composta da Stefano Pallotta, David Adacher e Angelo De Nicola. Una sezione del premio era riservata agli alunni delle scuole con una giuria composta dai docenti Maurizia Marchetti, Walter Cavalieri e Dario Tedeschini. Naturalmente la cerimonia il 6 maggio non si tenne. La memoria di Giuseppe Massari “Giò Kappa” in città è però sempre viva. Il 29 marzo, a pagina 17 del Centro, c’era un ampio servizio sul terremoto: quello del 13 gennaio 1915 che aveva annientato Avezzano e la Marsica e colpito pure L’Aquila. Era una sorta di bilancio del post-sisma di 94 anni prima. L’articolo portava la firma di Nino Motta, il collega che in precedenza aveva già condotto una lunga inchiesta da cui emergeva che nella Marsica molte persone, dopo decenni, abitavano ancora negli alloggi provvisori. «Quella delle casette asismiche», scriveva Motta, «doveva essere una soluzione temporanea. Agli assegnatari fu detto: avrete presto una vera casa. Quella casa, però, non è mai arrivata. Così dopo più di 90 anni le baracche sono ancora lì. I primi assegnatari sono tutti morti ma continuano a viverci i figli e i nipoti in condizioni igieniche indegne di un paese civile». In base a un censimento fatto negli anni Novanta del secolo scorso veniva fuori che erano abitate ancora più di 4.000 baracche. Di anni all’Aquila ne sono passati “appena” 10. Chissà se un cronista – oggi non ancora nato – nel 2109 a ridosso del centenario avrà voglia di fare un’indagine giornalistica sulle “casette” e gli alloggi ancora abitati. Probabile che ne troverà parecchi.
(19-continua)
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IL PREFETTO SALUTA. I giornali, fra altre notizie “ordinarie”, danno conto delle dichiarazioni del prefetto Aurelio Cozzani che il giorno prima aveva convocato una conferenza stampa per salutare la città. Dal 31 marzo avrebbe lasciato ufficialmente l’incarico. Il nuovo prefetto non era stato nominato. Il Centro faceva sapere che il posto resosi vacante sarebbe stato occupato temporaneamente dal viceprefetto Graziella Patrizi e annunciava che il nuovo rappresentante del governo sarebbe arrivato dopo le elezioni Provinciali ed Europee, cioè a giugno inoltrato. La mattina del 6 aprile 2009, poche ore dopo la scossa fatale, il ministro dell’Interno Roberto Maroni chiamò nel suo studio al Viminale il prefetto Franco Gabrielli (che all’epoca aveva 49 anni e vantava una lunga esperienza da servitore dello Stato) e lo inviò in fretta e furia all’Aquila. Oggi Gabrielli, dopo essere stato alla guida della Protezione civile nazionale (prese il posto di Guido Bertolaso), è il capo della polizia. Le dichiarazioni di Cozzani si rivelano interessanti. Di solito i prefetti durante l’espletamento del loro incarico non sono molto loquaci. Mantengono sempre un alto profilo istituzionale e misurano le parole. Quando vanno via, invece, un po’ si sbottonano. «Le infiltrazioni mafiose in provincia dell’Aquila non sono un fenomeno esteso», disse Cozzani, «perché qui il piatto non è ricco (lo sarebbe stato dopo il sisma, ndr). Però è anche vero che non bisogna abbassare la guardia, visto che la criminalità organizzata, per i suoi investimenti, cerca zone dove la lente d’ingrandimento delle forze dell’ordine è meno esasperata». Ma la riflessione si allargava anche ad altri aspetti: «Quando sono arrivato, alla fine del 2006», spiegò il prefetto, «ho trovato un territorio fermo, quasi statico, in particolare dal punto di vista economico. Poi ho capito che ciò era frutto di scelte rivelatesi sbagliate, come ad esempio l’aver puntato sull’industria elettronica la cui egemonia ora è passata in mani straniere. Ho potuto anche constatare che ci sono tante persone che hanno voglia di fare, a livello imprenditoriale, che però si scontrano con problemi oggettivi: istituzioni non abbastanza veloci nel proporre infrastrutture e servizi, oppure banche che non rilasciano crediti». Nel sommario del titolo, il pensiero dell’ormai ex prefetto veniva così sintetizzato: «Serve un grande sforzo per risollevare l’economia locale». Il rappresentante del governo certificava, in quel modo, una situazione di debolezza strutturale del tessuto produttivo del capoluogo sul quale stava per abbattersi la furia del terremoto: sul cotto l’acqua bollita.
L’ATENEO. Un paio di pagine dopo, un titolo ben evidente rivelava: “Il rettore attacca Confindustria. Di Orio: favorisce la Luiss e dimentica l’Ateneo aquilano”. Cos’era accaduto? Confindustria qualche giorno prima aveva organizzato un incontro nella sua sede per dare la possibilità alla Luiss di far conoscere agli studenti aquilani dell’ultimo anno delle superiori i suoi corsi e le prospettive di lavoro alla fine del periodo di studi. Il rettore Ferdinando Di Orio affermava stizzito: “Le università pubbliche abruzzesi non hanno nulla da invidiare alla Luiss, i nostri atenei sono fra i migliori in Italia per qualità”. Oggi L’Aquila ha, di fatto, due università. Il Gran Sasso Science Institute (Gssi) è ormai una realtà consolidata frequentata dai migliori cervelli di tutto il mondo. Non sapremo mai quale sarebbe stato l’atteggiamento di Di Orio – rispetto al Gssi – se fosse rimasto ancora qualche anno al timone dell’Ateneo (lasciò perché per legge il suo incarico non era più rinnovabile). Da come reagì nel caso Luiss forse non l’avrebbe presa benissimo. Ma non è detto.
GIÒ KAPPA. In una “breve” veniva poi data notizia di un premio di giornalismo dedicato a un personaggio indimenticato e indimenticabile, “Giò Kappa”, cioè Giuseppe Massari, che sette anni prima, ancora giovane, era stato sopraffatto da un male implacabile. A organizzare il premio era l’associazione “L’Idea di Clèves”. Si rendeva noto che la cerimonia di premiazione si sarebbe tenuta il 6 maggio 2009. La giuria presieduta da Stefania Pezzopane era composta da Stefano Pallotta, David Adacher e Angelo De Nicola. Una sezione del premio era riservata agli alunni delle scuole con una giuria composta dai docenti Maurizia Marchetti, Walter Cavalieri e Dario Tedeschini. Naturalmente la cerimonia il 6 maggio non si tenne. La memoria di Giuseppe Massari “Giò Kappa” in città è però sempre viva. Il 29 marzo, a pagina 17 del Centro, c’era un ampio servizio sul terremoto: quello del 13 gennaio 1915 che aveva annientato Avezzano e la Marsica e colpito pure L’Aquila. Era una sorta di bilancio del post-sisma di 94 anni prima. L’articolo portava la firma di Nino Motta, il collega che in precedenza aveva già condotto una lunga inchiesta da cui emergeva che nella Marsica molte persone, dopo decenni, abitavano ancora negli alloggi provvisori. «Quella delle casette asismiche», scriveva Motta, «doveva essere una soluzione temporanea. Agli assegnatari fu detto: avrete presto una vera casa. Quella casa, però, non è mai arrivata. Così dopo più di 90 anni le baracche sono ancora lì. I primi assegnatari sono tutti morti ma continuano a viverci i figli e i nipoti in condizioni igieniche indegne di un paese civile». In base a un censimento fatto negli anni Novanta del secolo scorso veniva fuori che erano abitate ancora più di 4.000 baracche. Di anni all’Aquila ne sono passati “appena” 10. Chissà se un cronista – oggi non ancora nato – nel 2109 a ridosso del centenario avrà voglia di fare un’indagine giornalistica sulle “casette” e gli alloggi ancora abitati. Probabile che ne troverà parecchi.
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