La protesta degli sfollati è arrivata a Roma
Manifestazione di «Action-diritti in movimento» davanti alla sede della Protezione civile.
L’AQUILA. Volevano chiedere spiegazioni direttamente ai vertici della Protezione civile, in merito alla difficile condizione degli sfollati rimasti. Così, sabato, decine di manifestanti del gruppo «Action-diritti in movimento» hanno trascinato tra le file di automobili di via Ulpiano passando da piazza Cavour, per sistemarsi davanti all’ingresso carraio della sede del dipartimento a Roma. «Vogliamo un incontro col dipartimento per discutere insieme dell’emergenza», hanno detto i manifestanti ai passanti, motivando la loro adesione alla giornata nazionale di mobilitazione con manifestazioni in 14 piazze d’Italia per sensibilizzare sulla situazione di quanti, a quasi sette mesi dal terremoto, vivono ancora nelle tende. «E ci teniamo a farlo», hanno spiegato mentre distribuivano volantini, «per dare sostegno a chi, a rischio della propria sopravvivenza, ha deciso di rimanere all’Aquila».
Il sit-in spontaneo ha, però, subito attirato l’attenzione delle forze dell’ordine che hanno chiesto le generalità agli organizzatori. «Solo allora», racconta Davide Massatani di Action, «abbiamo visto scendere un paio di funzionari della Protezione civile che ci ha chiesto spiegazioni sulla nostra presenza». I manifestanti, nel ribadire le difficoltà delle tendopoli, hanno chiesto un confronto pubblico sulla situazione, al fine di studiare insieme possibili situazioni per gestire l’emergenza abitativa. «In tutta risposta», ha aggiunto Massatani, «ci hanno detto che dal 7 aprile è attivo all’Aquila uno sportello dalle 8 alle 17 per far fronte alle emergenze della popolazione e che quindi non c’era bisogno di nessun incontro». Una risposta non troppo gradita dai i manifestanti; nessuno di questi era aquilano.
LA PROTESTA. «La Protezione civile ha ormai abbandonato gli aquilani», si legge nella nota di adesione alla manifestazione in solidarietà con gli sfollati. «Non solo non prende in considerazione le richieste di stufe, container o roulette che vengono inoltrare di continuo, ma minaccia di togliere acqua, luce e servizi a chi non accetta le destinazioni (posti anche lontanissimi) a cui è stato condannato. Un’altra emergenza è cominciata oggi», si legge ancora. «Non dettata da catastrofi naturali ma dalla stessa gestione del post sisma, da chi questa gestione l’ha portata avanti sulla testa e sulla pelle delle popolazioni colpite. Restare per resistere», prosegue la nota, «restare per partecipare attivamente alla ricostruzione della propria città, perché quelle persone all’Aquila ci lavorano, studiano o possiedono animali o terreni a cui provvedere».
TENDOPOLI. Continua a scendere, intanto, il numero di persone residenti nelle tendopoli aquilane, nonostante siano ancora molti coloro che rifiutano una sistemazione provvisoria prima di entrare nelle case prefabbricate o in quelle di legno. Gli sfollati sono attualmente 2.334, dislocati in 43 campi di accoglienza in varie zone del cratere. A metà della settimana scorsa, solo nell’area del comune dell’Aquila erano 2.374 gli «attendati» rimasti. Secondo gli ultimi dati della Protezione civile il numero è sceso sotto i 1800. Probabilmente su questa velocizzazione sta influendo anche il maltempo e le basse temperature. Molti sfollati lamentano, tuttavia, anche di aver subito in qualche modo pressioni durante i colloqui per i trasferimenti al fine di spingere le famiglie assegnatarie ad accettare velocemente le destinazioni. I campi di accoglienza chiusi dal mese di maggio sono 128. Il primo programma di dismissione della Protezione civile parlava di chiusura dei campi di accoglienza entro la fine di settembre, e i ritardi sono stati causa di nervosismo dentro i campi, tra sfollati e volontari.
Il sit-in spontaneo ha, però, subito attirato l’attenzione delle forze dell’ordine che hanno chiesto le generalità agli organizzatori. «Solo allora», racconta Davide Massatani di Action, «abbiamo visto scendere un paio di funzionari della Protezione civile che ci ha chiesto spiegazioni sulla nostra presenza». I manifestanti, nel ribadire le difficoltà delle tendopoli, hanno chiesto un confronto pubblico sulla situazione, al fine di studiare insieme possibili situazioni per gestire l’emergenza abitativa. «In tutta risposta», ha aggiunto Massatani, «ci hanno detto che dal 7 aprile è attivo all’Aquila uno sportello dalle 8 alle 17 per far fronte alle emergenze della popolazione e che quindi non c’era bisogno di nessun incontro». Una risposta non troppo gradita dai i manifestanti; nessuno di questi era aquilano.
LA PROTESTA. «La Protezione civile ha ormai abbandonato gli aquilani», si legge nella nota di adesione alla manifestazione in solidarietà con gli sfollati. «Non solo non prende in considerazione le richieste di stufe, container o roulette che vengono inoltrare di continuo, ma minaccia di togliere acqua, luce e servizi a chi non accetta le destinazioni (posti anche lontanissimi) a cui è stato condannato. Un’altra emergenza è cominciata oggi», si legge ancora. «Non dettata da catastrofi naturali ma dalla stessa gestione del post sisma, da chi questa gestione l’ha portata avanti sulla testa e sulla pelle delle popolazioni colpite. Restare per resistere», prosegue la nota, «restare per partecipare attivamente alla ricostruzione della propria città, perché quelle persone all’Aquila ci lavorano, studiano o possiedono animali o terreni a cui provvedere».
TENDOPOLI. Continua a scendere, intanto, il numero di persone residenti nelle tendopoli aquilane, nonostante siano ancora molti coloro che rifiutano una sistemazione provvisoria prima di entrare nelle case prefabbricate o in quelle di legno. Gli sfollati sono attualmente 2.334, dislocati in 43 campi di accoglienza in varie zone del cratere. A metà della settimana scorsa, solo nell’area del comune dell’Aquila erano 2.374 gli «attendati» rimasti. Secondo gli ultimi dati della Protezione civile il numero è sceso sotto i 1800. Probabilmente su questa velocizzazione sta influendo anche il maltempo e le basse temperature. Molti sfollati lamentano, tuttavia, anche di aver subito in qualche modo pressioni durante i colloqui per i trasferimenti al fine di spingere le famiglie assegnatarie ad accettare velocemente le destinazioni. I campi di accoglienza chiusi dal mese di maggio sono 128. Il primo programma di dismissione della Protezione civile parlava di chiusura dei campi di accoglienza entro la fine di settembre, e i ritardi sono stati causa di nervosismo dentro i campi, tra sfollati e volontari.