«Nessun Paese può fare da solo»
Il presidente Napolitano a cena all’Aquila con 43 leader mondiali.
L’AQUILA. Viviamo in un mondo globalizzato, come dimostra la crisi economica e finanziaria, e bisogna trarne le conseguenze. Per garantire gli scambi e la pace globale, non bastano «intese immediate e parziali». Occorre riscoprire «le grandi responsabilità comuni». Occorre puntare alla più ampia collaborazione fra le Nazioni, alla riconciliazione e cooperazione fra civiltà. Così si può far rinascere la speranza, ha detto Giorgio Napolitano alla cena che ha offerto ai leader riuniti per il G8. Ben 43 gli ospiti che il presidente della Repubblica ha salutato uno ad uno - tra capi di Stato, di governo e altre personalità - nella caserma di Coppito. Un unico grande tavolo, al centro del quale era seduto Napolitano. Di fronte a lui Berlusconi.
Napolitano ha pronunciato un discorso di ampio respiro. Ha offerto una visione in cui si riflettono la sua lunga esperienza politica (quella che Obama ha ieri elogiato come «his longstanding service») e anche le sue amare delusioni. Alla fine della seconda guerra mondiale, ha detto, gli spiriti più lungimiranti, fra cui John Maynard Keynes, avevano imboccato «la strada maestra» creando le Nazioni Unite, le istituzioni di Bretton Woods che mettevano insieme 44 nazioni, e volevano andare più avanti. Ma arrivò la gelata della guerra fredda e fra i due blocchi si delineò il Terzo Mondo. Si era capito già allora che il mondo era interdipendente.
Ma c’è voluta la crisi economica attuale per dare «la prova inconfutabile» che viviamo tutti in una dimensione globale in cui «nessun paese e nessun continente può fare da solo», in una realtà cui non è sufficiente, ha aggiunto, «nessun direttorio di 7 o di 8 potenze economiche e Stati ad assicurare lo sviluppo mondiale, la salvezza e il futuro del mondo». In questo mondo «sono entrati in scena nuovi protagonisti e il loro ruolo va pienamente riconosciuto». Inoltre «si deve dare voce ai paesi rimasti più indietro e ai popoli più sfortunati dei quali molta parte vive nella povertà e nella fame». Occorre perciò trasformare la crisi economica in una grande opportunità e varare «un complesso di più esigenti regole e standard internazionali per la conduzione delle attività finanziarie ed economiche. Occorre riformare e rafforzare le istituzioni internazionali e sostenere l’integrazione fra gli Stati su base continentale e regionale.
Napolitano ha pronunciato un discorso di ampio respiro. Ha offerto una visione in cui si riflettono la sua lunga esperienza politica (quella che Obama ha ieri elogiato come «his longstanding service») e anche le sue amare delusioni. Alla fine della seconda guerra mondiale, ha detto, gli spiriti più lungimiranti, fra cui John Maynard Keynes, avevano imboccato «la strada maestra» creando le Nazioni Unite, le istituzioni di Bretton Woods che mettevano insieme 44 nazioni, e volevano andare più avanti. Ma arrivò la gelata della guerra fredda e fra i due blocchi si delineò il Terzo Mondo. Si era capito già allora che il mondo era interdipendente.
Ma c’è voluta la crisi economica attuale per dare «la prova inconfutabile» che viviamo tutti in una dimensione globale in cui «nessun paese e nessun continente può fare da solo», in una realtà cui non è sufficiente, ha aggiunto, «nessun direttorio di 7 o di 8 potenze economiche e Stati ad assicurare lo sviluppo mondiale, la salvezza e il futuro del mondo». In questo mondo «sono entrati in scena nuovi protagonisti e il loro ruolo va pienamente riconosciuto». Inoltre «si deve dare voce ai paesi rimasti più indietro e ai popoli più sfortunati dei quali molta parte vive nella povertà e nella fame». Occorre perciò trasformare la crisi economica in una grande opportunità e varare «un complesso di più esigenti regole e standard internazionali per la conduzione delle attività finanziarie ed economiche. Occorre riformare e rafforzare le istituzioni internazionali e sostenere l’integrazione fra gli Stati su base continentale e regionale.