«Noi piccoli da 3 mesi nelle tende»
Poca voglia di parlare del summit fra i mille sfollati di piazza d’Armi.
L’AQUILA. Solo tre chilometri separano piazza d’Armi, la più grande tendopoli aquilana, dalla caserma superblindata di Coppito che ospita il G8. Ma la distanza sembra siderale a giudicare dall’atmosfera che si respira tra i 1.060 sfollati. Nel campo simbolo del terremoto non si parla infatti volentieri del summit, di Obama, di Berlusconi o delle first lady. C’è rabbia e frustrazione dopo tre mesi passati in tenda, con temperature che ormai toccano i 40-45 gradi di giorno, l’accampamento che si trasforma in un pantano quando piove e nuclei familiari diversi costretti a vivere sotto lo stesso tetto, non di cemento. «Io», dice Pasqua, 77 anni, sulla soglia della sua casa di tela, «non so nemmeno cos’è questo G8.
L’unica cosa che voglio è tornare in una casa». Piazza d’Armi è una vera e propria piccola città, ma, spiegano i volontari della Protezione civile dell’Emilia Romagna, che gestiscono il campo, non c’e tanta coesione sociale ed i problemi sono acutizzati dalla situazione di stress. Non mancano episodi di delinquenza, il vino alla mensa è stato vietato e ci sono quattro persone agli arresti domiciliari in una tenda. Ma ci sono anche momenti felici e segnali di rinascita, come il primo matrimonio celebrato nell’accampamento: sabato scorso si sono sposati due giovani romeni, Marius Bacosca e Simona, che hanno battezzato il loro figlio di tre mesi.
«I leader mondiali? Se sono venuti qui», osserva Marius, che da poco ha trovato lavoro come muratore, «faranno qualcosa per L’Aquila, se no cosa sono venuti a fare?». «Del G8», spiega Francesca Catalano, volontaria dell’Unitalsi, «ce ne siamo accorti perché da ieri nella zona è tutto chiuso, così chi di solito esce dal campo per andare al bar, al centro commerciale, o a comprare le sigarette non l’ha potuto fare ed è molto seccato. Sarebbe meglio che qualcuno dei Grandi venisse qui a vedere come si vive in una tendopoli dopo tre mesi». E tanti degli ospiti si trincerano nel silenzio, non hanno voglia di parlare con i giornalisti, anzi, ieri ci sono state anche intemperanze contro una troupe giapponese.
La vita, peraltro, non è facile neanche per i circa 220 volontari, contro i quali talvolta si manifesta la rabbia degli sfollati, esasperati da piccoli e grandi problemi. Finora sul campo vigilava un presidio composto da quattro carabinieri ed altrettanti poliziotti. Ma da oggi e per i prossimi due giorni - ecco un altro segnale del summit in corso - le forze dell’ordine non ci sono più, dirottate sui servizi di sicurezza per il G8. Da Demetrio Egidi, direttore dell’agenzia regionale di Protezione civile dell’Emilia Romagna, arriva un appello ai giornalisti. «Fate anche servizi», dice, «sui piccoli della Terra, non solo su chi ha la suite di lusso ed il campo di basket.
Qui ci sono migliaia di volontari che lavorano anche 16 ore al giorno, che vengono qui in ferie, ma nessuno ne parla». Nel pomeriggio, viale Corrado IV, la strada che costeggia il campo, viene attraversata dal lungo convoglio a sirene spiegate che trasporta Barack Obama nel centro storico dell’Aquila. Ma Piazza d’Armi non è in fibrillazione: qui c’è un’altra notte da passare in tenda.
L’unica cosa che voglio è tornare in una casa». Piazza d’Armi è una vera e propria piccola città, ma, spiegano i volontari della Protezione civile dell’Emilia Romagna, che gestiscono il campo, non c’e tanta coesione sociale ed i problemi sono acutizzati dalla situazione di stress. Non mancano episodi di delinquenza, il vino alla mensa è stato vietato e ci sono quattro persone agli arresti domiciliari in una tenda. Ma ci sono anche momenti felici e segnali di rinascita, come il primo matrimonio celebrato nell’accampamento: sabato scorso si sono sposati due giovani romeni, Marius Bacosca e Simona, che hanno battezzato il loro figlio di tre mesi.
«I leader mondiali? Se sono venuti qui», osserva Marius, che da poco ha trovato lavoro come muratore, «faranno qualcosa per L’Aquila, se no cosa sono venuti a fare?». «Del G8», spiega Francesca Catalano, volontaria dell’Unitalsi, «ce ne siamo accorti perché da ieri nella zona è tutto chiuso, così chi di solito esce dal campo per andare al bar, al centro commerciale, o a comprare le sigarette non l’ha potuto fare ed è molto seccato. Sarebbe meglio che qualcuno dei Grandi venisse qui a vedere come si vive in una tendopoli dopo tre mesi». E tanti degli ospiti si trincerano nel silenzio, non hanno voglia di parlare con i giornalisti, anzi, ieri ci sono state anche intemperanze contro una troupe giapponese.
La vita, peraltro, non è facile neanche per i circa 220 volontari, contro i quali talvolta si manifesta la rabbia degli sfollati, esasperati da piccoli e grandi problemi. Finora sul campo vigilava un presidio composto da quattro carabinieri ed altrettanti poliziotti. Ma da oggi e per i prossimi due giorni - ecco un altro segnale del summit in corso - le forze dell’ordine non ci sono più, dirottate sui servizi di sicurezza per il G8. Da Demetrio Egidi, direttore dell’agenzia regionale di Protezione civile dell’Emilia Romagna, arriva un appello ai giornalisti. «Fate anche servizi», dice, «sui piccoli della Terra, non solo su chi ha la suite di lusso ed il campo di basket.
Qui ci sono migliaia di volontari che lavorano anche 16 ore al giorno, che vengono qui in ferie, ma nessuno ne parla». Nel pomeriggio, viale Corrado IV, la strada che costeggia il campo, viene attraversata dal lungo convoglio a sirene spiegate che trasporta Barack Obama nel centro storico dell’Aquila. Ma Piazza d’Armi non è in fibrillazione: qui c’è un’altra notte da passare in tenda.