«Nuovo ruolo per il centro storico»
l professor Walter Cavalieri: decentrare i servizi in maniera intelligente
Diciamoci la verità: dinanzi all’immane sfida della ricostruzione della città, le cui linee-guida dovrebbero essere oggetto di un ampio, quotidiano e approfondito dibattito, noi Aquilani siamo tutti in grave ritardo.
Forse lo spettacolare stile dirigista con cui è stata efficacemente gestita l’emergenza ha indotto molti concittadini super-assistiti, dispersi o poco informati, a considerare la partecipazione solo come causa di rallentamento per la risoluzione dei problemi.
Inoltre, l’esasperante confusione con cui è stata gestita la ricostruzione “leggera”, l’incertezza sui tempi necessari e sui fondi disponibili per bonificare e ricostruire il centro storico, la scarsa fiducia nella politica, hanno fatto il resto.
Sta di fatto che sembra rinviato sine die il problema delle scelte di fondo, mentre proliferano soluzioni “provvisorie” caotiche ed incontrollate. Le poche voci che finora si sono udite su questo tema sono riconducibili sommariamente a due soli modi di prospettare il futuro: la posizione della Curia e di un certo notabilato aquilano di ricostruire tutto «com’era e dov’era», e la posizione di una pattuglia di intellettuali cittadini (a cominciare dall’architetto Giancarlo De Amicis e dal professor Alessandro Clementi) di trasformare la ricostruzione in una sorta di ri-fondazione dell’Aquila con criteri fortemente innovativi.
Se l’intelligenza di una comunità sta anche nel saper trasformare una sventura in una opportunità, voglio credere anch’io fortemente in una nuova visione fondata sul decentramento e il policentrismo della città-territorio. Immagino infatti una città estesa, le cui nuove “mura” siano costituite dalla cinta montuosa che delimita la conca aquilana. Un territorio il cui progetto urbanistico individui il proprio asse principale nella fascia fluviale dell’Aterno, lungo la quale collocare strutture sportive e meeting points, soprattutto giovanili, per farne - come dice suggestivamente l’architetto De Amicis - un vivace Central Park cittadino.
In questa prospettiva di cambiamento, il centro storico deve restare il luogo della memoria e dell’identità cittadina: finalmente pedonalizzato, colorato e ben illuminato, esso sarà il cuore pulsante di un più vasto organismo urbano immerso nella natura circostante.
Se non si vuole ridurre il centro storico ad una fredda scenografia monumentale, bisogna evitare di svuotarlo della sua residenzialità e delle sue attività precipue, bisogna recuperare ovviamente tutto il suo patrimonio artistico-architettonico di tipo religioso e civile, ma è anche necessario cedere al territorio tutti quei servizi che in passato lo congestionavano di funzioni generiche e di eccessivo traffico veicolare.
Un decentramento intelligente e multipolare, sostenuto da una adeguata viabilità, potrebbe ricucire dinamicamente il centro rappresentativo con i nuovi insediamenti satellitari, con le frazioni e con i centri minori circostanti, realizzando peraltro una redistribuzione democratica dei servizi.
Immagino insomma una città più equilibrata, pienamente a misura d’uomo, una città «demalinconizzata» e gioiosa, più bella e più ordinata, con un’altissima qualità della vita.
Una piccola aerea metropolitana che sia capace di valorizzare la sua bellezza e le sue risorse, anche per attrarre investimenti e turismo non occasionale.
Una città che aprendosi al territorio, alla regione e al mondo, allarghi anche la sua mentalità troppo spesso autarchica e mobiliti in pieno intelligenze creative, mestieri e saperi.
Temo tuttavia che nelle segrete stanze di molte imprese e agenzie immobiliari (per lo più non aquilane) siano già pronti dettagliati progetti di ricostruzione dettati dalla sola logica del profitto, la stessa che portò negli anni Sessanta all’urbanizzazione di Pettino e di altre zone inadatte all’edificazione.
Saranno questi i progetti vincenti se oggi la società civile (esaurita la necessaria fase autoconsolatoria del racconto corale dell’accaduto), non sarà capace di elaborare tempestivamente forti idee propositive per l’avvenire della Città, per una ricostruzione condivisa ispirata all’interesse comune.
*storico e docente
Forse lo spettacolare stile dirigista con cui è stata efficacemente gestita l’emergenza ha indotto molti concittadini super-assistiti, dispersi o poco informati, a considerare la partecipazione solo come causa di rallentamento per la risoluzione dei problemi.
Inoltre, l’esasperante confusione con cui è stata gestita la ricostruzione “leggera”, l’incertezza sui tempi necessari e sui fondi disponibili per bonificare e ricostruire il centro storico, la scarsa fiducia nella politica, hanno fatto il resto.
Sta di fatto che sembra rinviato sine die il problema delle scelte di fondo, mentre proliferano soluzioni “provvisorie” caotiche ed incontrollate. Le poche voci che finora si sono udite su questo tema sono riconducibili sommariamente a due soli modi di prospettare il futuro: la posizione della Curia e di un certo notabilato aquilano di ricostruire tutto «com’era e dov’era», e la posizione di una pattuglia di intellettuali cittadini (a cominciare dall’architetto Giancarlo De Amicis e dal professor Alessandro Clementi) di trasformare la ricostruzione in una sorta di ri-fondazione dell’Aquila con criteri fortemente innovativi.
Se l’intelligenza di una comunità sta anche nel saper trasformare una sventura in una opportunità, voglio credere anch’io fortemente in una nuova visione fondata sul decentramento e il policentrismo della città-territorio. Immagino infatti una città estesa, le cui nuove “mura” siano costituite dalla cinta montuosa che delimita la conca aquilana. Un territorio il cui progetto urbanistico individui il proprio asse principale nella fascia fluviale dell’Aterno, lungo la quale collocare strutture sportive e meeting points, soprattutto giovanili, per farne - come dice suggestivamente l’architetto De Amicis - un vivace Central Park cittadino.
In questa prospettiva di cambiamento, il centro storico deve restare il luogo della memoria e dell’identità cittadina: finalmente pedonalizzato, colorato e ben illuminato, esso sarà il cuore pulsante di un più vasto organismo urbano immerso nella natura circostante.
Se non si vuole ridurre il centro storico ad una fredda scenografia monumentale, bisogna evitare di svuotarlo della sua residenzialità e delle sue attività precipue, bisogna recuperare ovviamente tutto il suo patrimonio artistico-architettonico di tipo religioso e civile, ma è anche necessario cedere al territorio tutti quei servizi che in passato lo congestionavano di funzioni generiche e di eccessivo traffico veicolare.
Un decentramento intelligente e multipolare, sostenuto da una adeguata viabilità, potrebbe ricucire dinamicamente il centro rappresentativo con i nuovi insediamenti satellitari, con le frazioni e con i centri minori circostanti, realizzando peraltro una redistribuzione democratica dei servizi.
Immagino insomma una città più equilibrata, pienamente a misura d’uomo, una città «demalinconizzata» e gioiosa, più bella e più ordinata, con un’altissima qualità della vita.
Una piccola aerea metropolitana che sia capace di valorizzare la sua bellezza e le sue risorse, anche per attrarre investimenti e turismo non occasionale.
Una città che aprendosi al territorio, alla regione e al mondo, allarghi anche la sua mentalità troppo spesso autarchica e mobiliti in pieno intelligenze creative, mestieri e saperi.
Temo tuttavia che nelle segrete stanze di molte imprese e agenzie immobiliari (per lo più non aquilane) siano già pronti dettagliati progetti di ricostruzione dettati dalla sola logica del profitto, la stessa che portò negli anni Sessanta all’urbanizzazione di Pettino e di altre zone inadatte all’edificazione.
Saranno questi i progetti vincenti se oggi la società civile (esaurita la necessaria fase autoconsolatoria del racconto corale dell’accaduto), non sarà capace di elaborare tempestivamente forti idee propositive per l’avvenire della Città, per una ricostruzione condivisa ispirata all’interesse comune.
*storico e docente