Paternità negata, figlio vince la causa contro facoltoso imprenditore
Dopo 20 anni di battaglia legale la Corte d’appello conferma la sentenza che già aveva accolto il ricorso contro l'industriale avezzanese Berardino Del Tosto
L’AQUILA. Dopo una battaglia giudiziaria durata più di venti anni un giovane ha ottenuto il riconoscimento di paternità.
La Corte d’Appello, infatti, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato la paternità per la quale il 38enne Stefano Centi, che ha avviato la controversia civile insieme alla madre Emiliana Centi, risulta figlio del noto imprenditore aquilano Berardino Del Tosto, il quale aveva resistito nel giudizio.
LA STORIA. Il primo giudizio era stato avviato circa 20 anni fa e la sentenza fu depositata nel 2003. La Corte, con sentenza del 2007, dichiarò inammissibile il ricorso di secondo grado in quanto ritenuto tardivo. La Cassazione, però, ribaltò quel verdetto e il caso venne ridiscusso. Le eccezioni della difesa furono parecchie. Non sarebbe stato garantito nel corso delle operazioni peritali del Dna che i campioni ematici analizzati fossero proprio quelli prelevati alle tre parti e non ad altri individui. La perizia sarebbe stata nulla in quanto il consulente si era avvalso di collaboratori senza essere stato autorizzato dal giudice, questi non avevano prestato giuramento e non era stato dato avviso alle parti di quando le operazioni sarebbero proseguite. Un altro grave vizio di forma sarebbe stato il fatto che il pm non avrebbe partecipato al giudizio. Inoltre la domanda di risarcimento delle spese sostenute dalla madre per mantenere il figlio sarebbe stata indeterminata. Al punto che il tribunale, in primo grado, aveva fatto ricorso all’equità.
L’APPELLO. La Corte ha respinto le eccezioni. Quanto ai prelievi di sangue i giudici (Giancarlo De Filippis, Ciro Marsella, Angela Di Girolamo) hanno ritenuto che essi sono stati effettuati dalle parti identificate con documenti idonei e le relative provette sono state etichettate con le generalità dei soggetti dai quali i campioni erano stati prelevati come si evince dal verbale sottoscritto da tutti. Altre nullità, secondo i giudici, sono state eccepite tardivamente e genericamente.
«Nessun rilievo di merito alla perizia», si legge ancora nelle motivazioni, «è contenuta nell’atto di appello forse perché, obbiettivamente, è difficile confutare le conclusioni di un tecnico che ha affermato, sulla base di prelievi e di un approfondito accertamento ematologico-genetico, che le caratteristiche del Del Tosto sono compatibili con quelle di Stefano Centi con una probabilità di paternità pari ad almeno il 99,999994%, cioè con certezza scientifica».
Secondo il collegio è infondato anche il fatto che il pm non fosse informato del provvedimento «rientrando nelle sue scelte, non sindacabili, come partecipare al giudizio essendo sufficiente che ne abbia avuto notizia e, così, sia stato posto in grado di parteciparvi nelle forme ritenute opportune».
«La domanda formulata», è scritto ancora nella motivazione, «non è indeterminata avendo l’attrice (Emiliana Centi) indicato anche il quantum, sia pure con la precisazione che richiedeva comunque la somma, ed è anche inequivoco che abbia chiesto il rimborso pro quota delle spese sostenute per il mantenimento del figlio e non gli alimenti».
LA SENTENZA. Nel dispositivo, dunque, si dichiara la paternità naturale e viene attribuita una somma da pagare che si aggira, nel complesso, a circa 100mila euro. Il ricorso è stato presentato dall’avvocato del Foro di Pescara, Gaetano Mimola. Possibile, comunque, un ricorso in Cassazione.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
La Corte d’Appello, infatti, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato la paternità per la quale il 38enne Stefano Centi, che ha avviato la controversia civile insieme alla madre Emiliana Centi, risulta figlio del noto imprenditore aquilano Berardino Del Tosto, il quale aveva resistito nel giudizio.
LA STORIA. Il primo giudizio era stato avviato circa 20 anni fa e la sentenza fu depositata nel 2003. La Corte, con sentenza del 2007, dichiarò inammissibile il ricorso di secondo grado in quanto ritenuto tardivo. La Cassazione, però, ribaltò quel verdetto e il caso venne ridiscusso. Le eccezioni della difesa furono parecchie. Non sarebbe stato garantito nel corso delle operazioni peritali del Dna che i campioni ematici analizzati fossero proprio quelli prelevati alle tre parti e non ad altri individui. La perizia sarebbe stata nulla in quanto il consulente si era avvalso di collaboratori senza essere stato autorizzato dal giudice, questi non avevano prestato giuramento e non era stato dato avviso alle parti di quando le operazioni sarebbero proseguite. Un altro grave vizio di forma sarebbe stato il fatto che il pm non avrebbe partecipato al giudizio. Inoltre la domanda di risarcimento delle spese sostenute dalla madre per mantenere il figlio sarebbe stata indeterminata. Al punto che il tribunale, in primo grado, aveva fatto ricorso all’equità.
L’APPELLO. La Corte ha respinto le eccezioni. Quanto ai prelievi di sangue i giudici (Giancarlo De Filippis, Ciro Marsella, Angela Di Girolamo) hanno ritenuto che essi sono stati effettuati dalle parti identificate con documenti idonei e le relative provette sono state etichettate con le generalità dei soggetti dai quali i campioni erano stati prelevati come si evince dal verbale sottoscritto da tutti. Altre nullità, secondo i giudici, sono state eccepite tardivamente e genericamente.
«Nessun rilievo di merito alla perizia», si legge ancora nelle motivazioni, «è contenuta nell’atto di appello forse perché, obbiettivamente, è difficile confutare le conclusioni di un tecnico che ha affermato, sulla base di prelievi e di un approfondito accertamento ematologico-genetico, che le caratteristiche del Del Tosto sono compatibili con quelle di Stefano Centi con una probabilità di paternità pari ad almeno il 99,999994%, cioè con certezza scientifica».
Secondo il collegio è infondato anche il fatto che il pm non fosse informato del provvedimento «rientrando nelle sue scelte, non sindacabili, come partecipare al giudizio essendo sufficiente che ne abbia avuto notizia e, così, sia stato posto in grado di parteciparvi nelle forme ritenute opportune».
«La domanda formulata», è scritto ancora nella motivazione, «non è indeterminata avendo l’attrice (Emiliana Centi) indicato anche il quantum, sia pure con la precisazione che richiedeva comunque la somma, ed è anche inequivoco che abbia chiesto il rimborso pro quota delle spese sostenute per il mantenimento del figlio e non gli alimenti».
LA SENTENZA. Nel dispositivo, dunque, si dichiara la paternità naturale e viene attribuita una somma da pagare che si aggira, nel complesso, a circa 100mila euro. Il ricorso è stato presentato dall’avvocato del Foro di Pescara, Gaetano Mimola. Possibile, comunque, un ricorso in Cassazione.
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