Piano Case, gli alloggi a pezzi all'Aquila: "Qui si rischia ogni giorno"
In via Scimia (Sassa nucleo industriale) tra finestre che cadono e balconi sigillati. I residenti: "Costretti a chiamare i carabinieri a causa del solito rimpallo di responsabilità"
L’AQUILA. «Prima di quel crollo consideravo questo alloggio casa mia, oggi però ho paura».
Annamaria Ludovici si è vista piombare una finestra e un lucernario sul giardinetto del suo appartamento al primo piano del numero 8 di via Giorgio Scimia al Progetto Case di Sassa Nsi.
«Erano le 16 quando ho sentito un gran botto», racconta. «La finestra si è staccata dal secondo piano e, insieme al lucernario, è volata sul giardinetto. Io vivo qui da subito dopo il sisma e in tutto questo tempo ho cercato di considerare questo appartamento come la mia casa a via del Guasto. Qui si sta bene, ma adesso ho paura». Annamaria vive in una delle palazzine coi balconi sigillati che il Comune sta dismettendo. «Qui siamo rimasti in tre, gli altri sono andati via. Mi è stato detto che presto la palazzina sarà chiusa». Annamaria racconta del continuo balletto di responsabilità: «Dopo il crollo ho cercato di chiamare Manutencoop, poi ho chiamato il Comune che mi ha detto di chiamare Manutencoop. Quindi ho chiamato i vigili del fuoco, poi i vigili urbani che mi hanno detto di chiamare un avvocato. Allora ho chiamato i carabinieri di Sassa che sono stati gentilissimi, sono venuti e hanno fatto le foto. Al Comune mi hanno dato appuntamento per lunedì (oggi per chi legge) perché sabato e domenica non c’è nessuno. Per fortuna che l’ascensore, almeno quello, dopo tre anni di solleciti, è stato riparato».
Sei anni dal sisma, la vita sospesa in attesa della ricostruzione, e tra le famiglie nasce una nuova solidarietà. Sempre in via Scimia, questa volta al numero 10, c’è una festa di compleanno per una bambina di 2 anni, Francesca. Una tavolata all’aperto, c’è la torta, c’è lo spumante, e ci sono le storie dei terremotati, delle loro peripezie. Il liquore alle foglie di lauro aiuta Domenico Bernardi a ricordare i momenti del 6 aprile vissuti in macchina.
Roberta Acmena racconta le sue peripezie post-sisma. «Ero in affitto concordato, ho dovuto comprare i mobili. Poi mi hanno tolto l’affitto e portato qui, e ho dovuto svendere i mobili». Piera Gagliardone vuole farsi la foto con la vicina Michela Tulbure, «la prima persona che mi ha accolto qui». Michela vive a Sassa da due anni, dopo un periodo in tendopoli e un lungo girovagare perché «dicevano che non avevo diritto, poi sono andata con l’avvocato e avevo ragione io». Ines Morelli abitava in via degli Ortolani, sopra al ristorante “Le Fiaccole”, la notte del terremoto è stata salvata da alcuni studenti di Magliano dei Marsi. «Mi hanno tirata fuori loro», racconta. «Prima stavo a Cese, dove è crollato il balcone, adesso sto qui, non si sta male, ma ho la figlia a Pagliare di Sassa e non c’è un mezzo pubblico che vada lì direttamente, devo cambiare 4 autobus. È vero, ci sono quelli che non pagano, ma spesso ciò che qui manca dobbiamo pagarlo noi. L’altro giorno è arrivata la bolletta dell’acqua per i prati e per un impianto che non ha mai funzionato». Alla domanda di cosa ricorda della vita di prima, la risposta arriva da una voce maschile, un sussurro, quasi che stia parlando con se stesso: «La vita di prima non esiste più...».
Raniero Pizzi
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