Polizia amica delle donne perseguitate
Viaggio sul camper antiviolenza per il progetto pilota in campo nazionale: dopo le denunce scattano i provvedimenti
L’AQUILA. La chiamano «La storia della rana che finì bollita senza accorgersene» e racconta di una rana che sguazzava tranquilla nella sua pozza d’acqua fino a quando qualcuno iniziò a scaldarla. In un primo momento stava bene. Ma via via che la temperatura saliva, i suoi movimenti si facevano più lenti e la respirazione più difficoltosa. Quando la rana si rese conto che stava per morire e che per salvarsi avrebbe dovuto saltare fuori, le mancarono le forze e morì bollita nella pozza.
Cosa c’entra questa storia con la violenza sulle donne? La rana è la donna che non si accorge di restare imprigionata in una relazione con un uomo che la soffoca, la ricatta, la picchia, la insulta, ne limita la libertà economica, la violenta sessualmente. Sono mariti, ma anche fidanzati, conviventi, amanti, ex compagni che non riescono ad accettare la separazione da una donna che non li ama più, o che non li vuole più. A queste donne si è rivolta la «squadra» del Camper antiviolenza della Polizia di Stato dell’Aquila che ha girato, in due mesi, dal 30 settembre sino a ieri, diverse località e paesi della provincia, entrando fin nelle new town per un’attività di prevenzione sul campo a difesa delle donne vittime di violenza domestica. Ieri tappa a San Demetrio ne’ Vestini.
Donne che si rivolgono ad altre donne per «fare uscire un mare di violenza domestica sommersa», spiega Delfina Di Stefano, vicequestore aggiunto, a «capo» della squadra che per 60 giorni ha posteggiato il camper nelle piazze, è scesa tra la gente fermando donne adulte, anziane e ragazze. Semplice l’approccio: «Stiamo facendo un’attività di prevenzione contro le donne», dice Di Stefano, affiancata da una dottoressa della questura, il medico capo Alessandra Masciovecchio (le due «presenze» fisse) e dall’agente scelto Massimiliano De Santis, l’assistente sociale del Centro antiviolenza Marzia Pantalone e il sostituto commissario Nadia Ciccarella che si sono alternati con altri colleghi. Lasciano un volantino con i numeri e qualche informazione sugli strumenti legislativi ora a disposizione delle donne vittime di una violenza, e sui servizi che si trovano sul territorio. Il camper è l’anello che mette in rete Polizia di Stato (determinante, in tal senso, l’impulso del questore Vittorio Rizzi per la realizzazione del progetto), Centro antiviolenza, Comune e Asl. «Tutte le donne sono soddisfatte dell’iniziativa», spiega Di Stefano. E si capisce il perché.
Su 150 contatti al giorno avuti dal 30 settembre, sono decine le donne che dopo il primo approccio si sono aperte al dialogo per raccontare violenze presenti ma, purtroppo, anche passate. E così, c’è la donna dell’Est Europa di una trentina di anni che era una bambina quando convinse la madre a scappare da un marito violento lasciando il suo Paese d’origine per venire a vivere in Italia.
Nei due mesi d’iniziativa, sono stati 15 gli ammonimenti emessi, ai quali si aggiungono circa 30 denunce acquisite proprio dal personale di Polizia di Stato all’interno del camper, su reati per maltrattamenti, lesioni, violenza sessuale, stalking, percosse, tipico dell’uomo nei confronti della donna. Situazioni che nascono tra le mura domestiche (la «pozza della rana») o nella fase di separazione. Un esempio è la storia della ragazza di nemmeno 30 anni che ha aspettato l’arrivo del camper antiviolenza per denunciare il suo sogno d’amore diventato un incubo. Un breve e romantico fidanzamento, finito con un uomo diventato ossessivo, violento, possessivo. Una «gabbia» dalla quale la ragazza ha cercato di fuggire rimanendo vittima del suo stalker: messaggi e minacce sfociati in tre denunce. L’ultima, consegnata all’ufficiale di polizia giudiziaria del camper e trasmessa in tempi rapidi alla Procura, che a sua volta ha emesso un provvedimento nei confronti dell’uomo. Il quale non potrà più avvicinarsi alla sua ex compagna, né comunicare con lei. «Ma questo tipo di provvedimenti», spiega Masciovecchio, «serve non solo alle donne, ma anche agli uomini, che spesso solo con la notifica dell’atto si rendono conto di essere stati aggressivi».
«La violenza sulle donne», conclude, «ha radici culturali ed educative, in cui la donna è un oggetto da possedere e da comandare». Vietato ribellarsi. Ma le cose stanno cambiando. Ed è, come una goccia nel mare, anche merito del camper (progetto pilota in Italia) della Polizia di Stato.
Marianna Gianforte
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