Un reparto di Maternità

L'AQUILA

Punto nascita Sulmona, da Roma chiedono la data perentoria di chiusura

Il presidente Marsilio: "Abbiamo assistito a passerelle poltiche e a impegni solennemente assunti. Per quanto ci riguarda, al ministero continueranno ad aspettare a lungo una nostra comunicazione"

L’AQUILA. Con il parere negativo alla proroga dell’apertura del punto nascita di Sulmona, il comitato Percorso nascita nazionale (Cpnn) del ministero della Salute chiede alla Regione la data perentoria di chiusura della struttura. Un “no” giunto dopo che la Regione Abruzzo aveva reiterato la richiesta di tenere aperto il punto nascita al servizio della popolazione residente in aree interne montane dell’Abruzzo, ottenendo anche il parere favorevole del comitato regionale.

Nella sua relazione, il comitato nazionale, per giustificare l’imposizione di chiusura, sottolinea che non si arriva, come disposto dal decreto Lorenzin, al minimo dei 500 parti l’anno, evidenziando oltretutto che l’ospedale di Sulmona non rientra tra quelli posti in zone disagiate, che i Comuni delle zone montane sono “pochi e con un disagio orografico modesto”. Comuni di montagna i cui abitanti, secondo il ministero, possono scegliere soluzioni alternative fuori regione per partorire, raggiungendo l’ospedale di Isernia.

“Abbiamo assistito a passerelle politiche e impegni solennemente assunti. E’ ora necessario che tutto l’Abruzzo si mobiliti per affermare il diritto alla salute e di piena cittadinanza. Per quanto ci riguarda, al ministero continueranno ad aspettare ancora a lungo la comunicazione di chiusura!" ha commentato il presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio. "Sono mesi che ascoltiamo melassa di retorica sulla medicina territoriale e i piccoli ospedali. Oggi ci chiedono in termini perentori la data di chiusura. La soglia dei 500 parti è stata messa in discussione nella Conferenza delle Regioni e lo stesso ministro Speranza aveva accolto la richiesta di avviare un tavolo per rivedere i parametri del decreto Lorenzin e superare queste situazioni. Non si possono usare gli stessi parametri in aree metropolitane e in zone interne, disagiate e meno popolose. I cittadini hanno gli stessi diritti al di là del luogo di residenza”.

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