«Quel cinghiale poteva uccidermi»
Parla l’allevatore di Amatrice aggredito dal grosso animale in un bosco di Campotosto: sono stati attimi terribili
L’AQUILA. L’odore della terra contro cui è finito, dopo essere stato buttato giù da un cinghiale di un quintale e mezzo, non sparirà tanto presto dalla sua memoria. Del corpo a corpo avuto due giorni fa con un ungulato inferocito a Giorgio Giustiniani, allevatore e produttore agricolo di 33 anni di Amatrice, resterà la paura e la consapevolezza di essersi salvato per miracolo. Con un coraggio, però, da vendere.
Ha qualcosa di epico la lotta che il giovane ha avuto con l’animale finito chissà come nel suo podere al confine tra Lazio e Abruzzo, vicinissimo al territorio di Campotosto. Ricoverato al reparto di Chirurgia inaugurato da poco all’ospedale “San Salvatore” del capoluogo abruzzese, Giorgio ha voglia di gettarsi alle spalle il ricordo della brutta avventura il più presto possibile. Con lui, nella stanza d’ospedale dove dovrà restare per almeno una settimana ancora, un gruppo di amici da Amatrice e da Campotosto e la giovane compagna che ricostruisce insieme a lui quanto è successo lunedì pomeriggio. «Erano le 14,30», dice senza trovare ancora la forza di sorridere alle battute, «ho sentito i miei cani abbaiare molto mentre tagliavo la legna per casa mia. Mi sono avvicinato e ho visto il cinghiale. Mi ha subito assalito».
Con un balzo l’animale ha colpito dritto alle gambe l’allevatore, buttandolo a terra. È lì che è cominciato un corpo a corpo violento e intenso, «sarà durato un pugno di secondi», dice Giorgio. Ha gli occhi verdi che restano seri sempre. Fanno pensare a quelli di Sandokan, il pirata della Malesia nato dalla penna di Salgari, che sfidò la tigre per conquistare la sua bella Marianna. Giorgio invece non doveva conquistare ma difendere la sua vita. «Sono un cacciatore, conosco bene i cinghiali e mi sembra strano che quell’esemplare mi abbia attaccato, di solito lo fanno quando sono in pericolo. Forse scappava dai lupi, forse da altri pericoli. Se fosse successo mentre ero a caccia, con un’arma in mano e pronto a tutto, non mi avrebbe ferito». Buttato a terra e in posizione di debolezza, invece, pensi soltanto a salvare la pelle, combattendo con tutta la forza che hai. «Avevo un solo pensiero: proteggere il volto». Con le zanne il cinghiale ha tranciato profondamente in più punti la coscia destra, dove i chirurghi dello staff di Ortopedia guidati da Stefano Flamini hanno operato con un delicato intervento nel quale sono stati necessari diversi punti di sutura. «Ho visto tutto quel sangue e ho pensato al peggio, per fortuna sono stati tagliati vasi secondari», aggiunge.
Una volta a terra e vedendosi l’animale puntare al volto «l’ho afferrato alle zanne con entrambe le mani per tenerlo lontano e a quel punto mi sono ferito anche alle dita». Poi, d’un colpo, così come tutto è cominciato, il grande cinghiale è andato via. Le urla e il rumore della lotta sono arrivati lontano. «Si è avvicinato di crosa un amico, che mi ha soccorso, poi anche gli uomini della Forestale da Campotosto. «In quel momento mi sono accorto di essere ferito anche alla coscia sinistra, ma ormai mi sentivo al sicuro», dice guardando la compagna che non lo ha lasciato un minuto. All’ora del pranzo entra il dottor Flamini, gli dà una manata (delicata, s’intende) al polpaccio sinistro. «In 30 anni di onorata carriera mi è capitato di tutto. Ma mai di intervenire per un uomo azzannato da un cinghiale».
Esiste sempre una prima volta, l’importante è che ci sia il lieto fine, magari alla Salgari.
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