Roma, botte in testa ai terremotati

Ripetute cariche contro i manifestanti in corteo pacifico nella capitale

L'AQUILA. Vincenzo, il pizzaiolo che vive nel camper, ha la testa rotta e una maglietta «RicostruiAmo» L'Aquila che prima era bianca e ora è rosso sangue. Marco, che studia e lavora, la maglietta ce l'ha blu ma è lo stesso una maschera di sangue. Altro sangue. Dopo quello delle vittime e dei feriti del sisma. Erano venuti a mani alzate con migliaia di concittadini per chiedere la ricostruzione. Trovano le manganellate.

ROSSO SANGUE. Si tinge di rosso, come il sangue dei feriti a colpi di manganello usato alla rovescia da carabinieri e finanzieri in assetto antisommossa, la pacifica invasione di oltre 5mila aquilani (8mila secondo gli organizzatori, giunti con 47 pullman e auto private) nella capitale. Una protesta, non la prima, non l'ultima, che vive diversi momenti di tensione. Manganellate anche al deputato del Pd Giovanni Lolli.

Tre i feriti che si fanno medicare, tanti di più i contusi tra i quali anche alcuni nomi noti: il sindaco Massimo Cialente, il segretario regionale della Cgil Gianni Di Cesare che cade a terra nel parapiglia, il consigliere comunale Fabio Ranieri. Colpite anche donne. Nessuna provocazione dagli aquilani.

A sera la polizia (il ministro Maroni annuncia che verrà disposta un'indagine per capire cos'è successo) punterà l'indice contro alcuni esponenti dell'area antagonista e dei centri sociali che, da infiltrati, avrebbero provocato e aggredito le forze di polizia. Lo stesso servizio d'ordine del corteo, fatto di volontari, confermerà di aver individuato, e isolato, una ventina di non aquilani ai quali sarebbero da attribuire sia la scritta lasciata contro un mezzo dei carabinieri («L'Aquila non dimentica, merde e servi») sia lo sgonfiamento delle ruote di una camionetta. Ma se è vero che a spingere davanti c'erano gli infiltrati, le sole teste fasciate, a fine giornata, sono proprio quelle degli aquilani.

ROMA BLOCCATA. Gli aquilani, per un giorno, bloccano Roma e gridano tutta la loro rabbia davanti ai palazzi del potere che restano chiusi. Impenetrabili, come nel caso della residenza romana del premier Berlusconi, quel palazzo Grazioli difeso dalle forze dell'ordine a suon di manganellate. Una giornata intensa, un'altra pagina della storia della città nell'anno uno dopo il terremoto.

Le bandiere neroverdi, i colori della città, sono i totem attorno ai quali la gente si ritrova. Neppure un attimo sfiancati dal giro turistico imposto dalla scorta di polizia e vigili urbani (raccordo anulare, Appia Antica, tomnba di Cecilia Metella, Terme di Caracalla) né dal caldo africano della capitale, i cittadini delusi dalla ricostruzione che non c'è, dalla ripresa delle tasse, dagli annunci dell'ultim'ora fanno sentire alta la propria voce. A sera, poi, gli aquilani che sfilano per il lungotevere sono un fiume in piena.

Nessuno li può fermare. Si comincia con le manganellate a via del Corso. Si finisce con la contestazione in via Ulpiano, davanti alla sede della Protezione civile. «Ladri, assassini, noi non ridevamo», urlano gli aquilani esasperati. Arrivano i rinforzi dei carabinieri. Qualcuno si affaccia alle finestre, poi quando la protesta cresce di tono viene chiuso il grosso portone. Qui la gente, tra cui anche familiari di vittime del sisma, scaglia accuse alla gestione della prevenzione, con riferimento alle rassicurazioni della commissione grandi rischi. La rabbia è tanta. Poi si risale sui pullman che formano una colonna interminabile per questo pellegrinaggio laico che, per un giorno, colora di neroverde la città eterna.

IL GOVERNO. Proprio mentre sono sulla via di casa gli aquilani apprendono che, al termine di una giornata in cui la voce della piazza arriva fin dentro il palazzo, l'unica concessione è la restituzione in 120 rate (10 anni) delle vecchie tasse non pagate. Nessuna menzione sulla quota. Si era ipotizzato il 40% ma, stando così le cose, si resta fermi al 100%. Questo il risultato delle febbrili trattative tra i palazzi del potere, dalla Camera al Senato fino a palazzo Grazioli dove il premier si barrica con i suoi fedelissimi per parlare, tra l'altro, anche del caso-L'Aquila.

VIA DEL CORSO. «Entrano solo 150 persone, il corteo non è autorizzato». All'ingresso di via del Corso i funzionari della questura bloccano la gente. Non fu così in altre occasioni. E non è la prima volta degli aquilani a Roma. Ma se allora il cordone di polizia provò a fermare la gente e poi si fece da parte oggi no. Oggi l'ordine è un altro. Alzare anche il manganello, se serve. In via del Corso prima, e sotto palazzo Grazioli dopo, non si entra. Gli aquilani sono migliaia. Sono qui per manifestare pacificamente. Ma quando la folla capisce che da qui non si passa, sotto questo sole cocente e con la rabbia dentro di chi vuole solo manifestare senza creare incidenti, dalle file dietro arrivano spintoni. Una, due volte. A quel punto il reparto mobile dei carabinieri e i finanzieri alzano gli scudi e preparano i manganelli. Come in curva. Come coi black bloc. Partono più cariche, i colpiti sono tanti.

Tre i ragazzi feriti alla testa. Vincenzo Benedetti il pizzaiolo ha la peggio. Torna con una ferita profonda. Lo medicano in una banca. Lui entrando imbratta di rosso il muro esterno. Lo segue, con un turbante, Marco De Nuntiis. «Ora capisco, sussurra, «quando la gente dice: io non ho fatto niente, ma m'hanno menato». Eppure davanti ci sono i sindaci con le fasce tricolori. Anche alcuni amministratori le prendono. Inizialmente si sparge la voce che anche il sindaco Massimo Cialente sia stato manganellato. Poi, più tardi, chiarirà di essersi messo in mezzo e di aver rimediato un pestone.

IN AULA. La notizia delle botte arriva in aula. A difesa degli aquilani arriva il leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro coi parlamentari abruzzesi Alfonso Mascitelli e Augusto Di Stanislao. Di Pietro telefona al questore e fa da mediatore per sbloccare il corteo. Via libera ai 300 metri che separano gli aquilani da palazzo Chigi. Passato mezzogiorno gli aquilani assediano il palazzo da due lati. «L’Aquila, L’Aquila» è il grido della gente che non si arrende e che riceve applausi e qualche maledizione di chi resta imbottigliato in auto. Alcuni aquilani arrivano a Montecitorio, dove stanno manifestando anche i disabili. Altri, dal camioncino con gli altoparlanti, gridano ai cronisti: «Adesso scrivete che abbiamo fatto gli scontri. Informazione di merda». Poi parlano i big. Bersani rimedia pure qualche fischio. «Fate pure voi il vostro dovere», dice la gente. Il leader del Pd conferma l’impegno dell’opposizione per far cambiare idea al governo. Interviene pure Pannella, ma non si risparmia neppure un battibecco con alcuni manifestanti.

Poi tutti a palazzo Madama. Ma palazzo Grazioli è di strada. C’è un vertice di maggioranza. «Si parla pure dell’Aquila», dice Cialente. Ma qui non c’è un Di Pietro che apre le acque. Non si passa. E volano altre manganellate. Una carica più forte della prima. Lolli le prende, ma invita a «non drammatizzare». «Per fortuna abbiamo convinto i nostri a fare marcia indietro. Altrimenti sarebbe stato un massacro».

Poi il corteo, al quale si aggiunge anche Paola Concia (Pd), qui con Stefania Pezzopane neo-assessore comunale, viene deviato per l’ennesima volta. Piazza Venezia, via delle Botteghe Oscure, corso Vittorio Emanuele, piazza Navona. Qui, nell’altro luogo storico del consiglio comunale straordinario, gli aquilani si fanno sentire. Ne sa qualcosa il deputato sulmonese del Pdl Maurizio Scelli che si mette a difendere Berlusconi e viene prima insultato e poi invitato ad «andare in aula a fare qualcosa per gli aquilani». Poi Cialente ringrazia gli aquilani per «l’ennesima grande mobilitazione». Poi spiega ai cittadini cos’è successo nei palazzi del potere.

Quale effetto ha, nelle stanze dei bottoni, la presenza aquilana a Roma? La proposta che l’ambasciatrice Pd Anna Finocchiaro fa al premier, attraverso Maurizio Gasparri, è questa: 40 per cento delle tasse da ridare in 10 anni, ma sempre a decorrere dal primo gennaio 2011. «Serve una copertura finanziaria di 250 milioni», aggiunge il sindaco. Evidentemente, a palazzo Grazioli non devono averla trovata. Visto che, a sera, l’ennesimo annuncio dell’ennesimo emendamento porta in un’altra direzione: 100 per cento in 10 anni e sempre da gennaio 2011.

LA DELEGAZIONE. Eppure, una delegazione di amministratori e comitati ricevuta in Senato da Renato Schifani esce con tante belle parole. E speranze. Eugenio Carlomagno («L’Aquila, un centro storico da salvare») riferisce: «Schifani ha ascoltato le nostre ragioni e ha detto: se la rateizzazione degli altri è stata più favorevole perché non farla così anche per voi?». Poi più nulla. È qui che, come riferisce Pezzopane, il senatore Pdl Paolo Tancredi dice che «quella delle tasse non è una priorità come quella di pagare ditte e alberghi che hanno lavorato». Il consigliere regionale Maurizio Acerbo (Rifondazione) è indignato.

I SINDACI. Sconsolati i sindaci del cratere presenti in massa. Riassume tutto Luciano Mucciante, di Castel del Monte. «Impossibile riprendere a pagare in queste condizioni. Qui ci stanno prendendo in giro». Tra le tante fasce presenti quelle di Antonio Tarquini di Tornimparte, Francesco Di Marco di Prata d’Ansidonia, Dionisio Ciuffini di Castelvecchio Calvisio, del vicesindaco di Navelli Paolo Federico mentre da Acciano arriva Massimiliano Di Stefano consigliere di minoranza.

LA BANDIERA. Per pochi minuti, prima che solerti commessi improvvisino il primo ammainabandiera della storia avvenuto tra i fischi, la bandiera neroverde viene issata sul pennone di palazzo Madama con un blitz di parlamentari dipietristi. Finale: un bar di piazza Navona, oasi nel deserto per acqua e bagno. Una donna dice alla cassiera: «Dove sono gli aquilani?». «Dappertutto». Sì. Quella cassiera ha proprio ragione.

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