Scarcerato detenuto intollerante al menu
Sulmona, il manager Asl legato alla mafia soffre di favismo
SULMONA. Pasta o riso con i piselli, seppie e piselli, minestrone e fave. Un menù a base di legumi «dannoso» per il manager della Sanità, Michele Aiello che soffre di favismo. Ed è per questo che nei giorni scorsi è stato scarcerato dalla prigione di Sulmona.
Lo ha deciso, con questa motivazione il tribunale di sorveglianza dell'Aquila che ha concesso, nei giorni scorsi, la detenzione domiciliare per un anno all'ingegnere, condannato a 15 anni e sei mesi per associazione mafiosa nel processo denominato «Talpe alla Dda» in cui fu coinvolto anche l'ex governatore siciliano Totò Cuffaro, attualmente detenuto a Rebibbia, dove sta scontando una condanna a sette anni di reclusione.
Aiello, titolare di un centro diagnostico all'avanguardia a Bagheria (Palermo), era ritenuto, dai magistrati l'alter ego nella sanità del capomafia Bernardo Provenzano che avrebbe investito parte del suo denaro nelle attività del manager.
«Il vitto carcerario non ha consentito un'alimentazione adeguata del detenuto, risultando dal diario nutrizionale la presenza costante di alimenti potenzialmente scatenanti una crisi emolitica e assolutamente proibiti», hanno sancito i giudici. E quindi l'ex imprenditore «non può rimanere in prigione, perché esposto a serio e concreto rischio di vita o a irreversibile peggioramento delle già scadute condizioni fisiche». Una decisione criticata dal pm Nino Di Matteo che rappresentò l'accusa in primo grado al processo Talpe in Procura. «Se il motivo della concessione della detenzione domiciliare a Michele Aiello è quello che ho letto sui giornali, sinceramente non riesco a comprendere cosa sia avvenuto. Non capisco cosa abbia impedito di cambiare il menù o la dieta di Aiello oppure che cosa non abbia consentito di valutare la possibilità di un trasferimento in una struttura penitenziaria in cui si potessero curare i suoi problemi di salute».
Lo ha deciso, con questa motivazione il tribunale di sorveglianza dell'Aquila che ha concesso, nei giorni scorsi, la detenzione domiciliare per un anno all'ingegnere, condannato a 15 anni e sei mesi per associazione mafiosa nel processo denominato «Talpe alla Dda» in cui fu coinvolto anche l'ex governatore siciliano Totò Cuffaro, attualmente detenuto a Rebibbia, dove sta scontando una condanna a sette anni di reclusione.
Aiello, titolare di un centro diagnostico all'avanguardia a Bagheria (Palermo), era ritenuto, dai magistrati l'alter ego nella sanità del capomafia Bernardo Provenzano che avrebbe investito parte del suo denaro nelle attività del manager.
«Il vitto carcerario non ha consentito un'alimentazione adeguata del detenuto, risultando dal diario nutrizionale la presenza costante di alimenti potenzialmente scatenanti una crisi emolitica e assolutamente proibiti», hanno sancito i giudici. E quindi l'ex imprenditore «non può rimanere in prigione, perché esposto a serio e concreto rischio di vita o a irreversibile peggioramento delle già scadute condizioni fisiche». Una decisione criticata dal pm Nino Di Matteo che rappresentò l'accusa in primo grado al processo Talpe in Procura. «Se il motivo della concessione della detenzione domiciliare a Michele Aiello è quello che ho letto sui giornali, sinceramente non riesco a comprendere cosa sia avvenuto. Non capisco cosa abbia impedito di cambiare il menù o la dieta di Aiello oppure che cosa non abbia consentito di valutare la possibilità di un trasferimento in una struttura penitenziaria in cui si potessero curare i suoi problemi di salute».
© RIPRODUZIONE RISERVATA