Sel e Pd, la sfida parte dall'Aquila
Vendola: la ricostruzione un caso nazionale, ripensiamo la politica
L'AQUILA. Le primarie all'Aquila sono come quelle di Genova, di Milano, di Cagliari, di Napoli: primarie vere a partire dalle quali «la politica è chiamata a ripensarsi». Nichi Vendola fuga così ogni dubbio sulla natura della sfida che si sta giocando nel capoluogo di regione - «La ricostruzione dell'Aquila è un caso nazionale» - per la candidatura a sindaco. E che si è giocata o si giocherà a Montesilvano, Atessa, San Salvo, Ortona in vista del voto amministrativo di maggio. Una sfida se possibile più dura di quella delle scorse amministrative, quando, regnante ancora Berlusconi, Sel e Pd si presentarono separati, con propri candidati in molti comuni, segnando anche la caduta di roccaforti rosse come Roseto. Oggi con Monti a Palazzo Chigi e il Pd in maggioranza bipartisan, il solco appare più profondo e la fotografia di Vasto con Vendola, Bersani e Di Pietro rischia di finire nel cassetto della storia più che in quella dell'attualità. Anche se Vendola minimizza: «Non metto bandierine sulle primarie».
Il leader di Sel era ieri all'Aquila per sostenere il candidato sindaco del suo partito Vittorio Festuccia, che il 4 marzo incrocerà le schede alle primarie di coalizione con il sindaco uscente del Pd Massimo Cialente. «Il popolo del centrosinistra chiede scelte di rinnovamento, non programmi annacquati di moderatismo, perché altrimenti si volta dall'altra parte», spiega Vendola commentando le sconfitte del Pd contro i candidati del suo partito: «O io ho un potere divinatorio o porto sfiga ai candidati degli altri, ma la verità è che le primarie svelano l'inadeguatezza delle scelte» dei gruppi dirigenti dei democratici.
«I miei vincono le primarie dalle secondarie», scherza Vendola accennando alla «marginalità istituzionale» del suo partito che al momento non ha rappresentanza parlamentare. Lo ripete anche ai lavoratori del polo elettronico aquilano, con i quali si intrattiene prima dell'incontro pubblico. Lavoratori rimasti senza lavoro e senza pensione a causa della riforma Fornero.
Dice Vendola: «Ci hanno detto che siamo affetti da buonismo sociale. Ma difendere i diritti dei lavoratori è un fatto di civiltà che qualcuno sta cancellando».
Gli chiedono: Enrico Letta ha dato il voto 8 e mezzo a Monti. Tu che voti gli dai? Vendola il voto non lo dà, ma il giudizio è «negativo». «L'Europa vista dalla Grecia fa paura. Si sta decomponendo. Dov'è l'Europa immaginata dal Manifesto di Ventotene? L'Europa che ha inventato la civiltà dei Lumi e il primato dei diritti umani?» Monti è «la variante più sobria, più illuminata, del conservatorismo che domina l'Europa. Per me il governo Monti è un governo di destra».
Una destra di cui fa parte anche l'abruzzese Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat. Vendola tira fuori il telefonino e legge il telegramma che la Fiat ha inviato ai tre sindacalisti della Fiom di Melfi licenziati e reintegrati dal giudice: «"Restate a casa". Finalmente abbiamo scoperto che c'è un giudice a Potenza», è il commento di Vendola. «Naturalmente la Fiat e il suo manager si ritengono il giudice della vita e della morte del pianeta intero e quindi non ritengono di dover essere ossequiosi nei confronti della sentenza a Potenza».
È proprio partendo dalla sentenza di Potenza che l'articolo 18 va difeso, insiste Vendola. «L'articolo 18 è diventato il simbolo della civiltà di questo paese. Quando Monti dice che non puo essere un tabù, io dico: ha ragione il premier, l'articolo 18 non può essere un tabù infatti bisogna estenderlo a tutti».
«Credo», prosegue il leader di Sel, «che chi si è accanito ideologicamente a dipingere l'articolo 18 come un ostacolo alla capacità di attrarre investimenti, chi ha raccontato questa leggenda metropolitana oggi debba sapere che non c'è possibilità di costruire un compromesso possibile su questo terreno. Il mondo del lavoro non può vedersi scippato l'articolo 18, non possiamo consentire che passi una idea barbarica della modernità fatta con la museruola messa sulla bocca dei lavoratori e delle lavoratrici». E poi, aggiunge da presidente della Regione Puglia, «per quello che mi riguarda l'articolo 18 non ha impedito nella mia regione investimenti che stanno giungendo dalle più importanti multinazionali straniere».
Il leader di Sel era ieri all'Aquila per sostenere il candidato sindaco del suo partito Vittorio Festuccia, che il 4 marzo incrocerà le schede alle primarie di coalizione con il sindaco uscente del Pd Massimo Cialente. «Il popolo del centrosinistra chiede scelte di rinnovamento, non programmi annacquati di moderatismo, perché altrimenti si volta dall'altra parte», spiega Vendola commentando le sconfitte del Pd contro i candidati del suo partito: «O io ho un potere divinatorio o porto sfiga ai candidati degli altri, ma la verità è che le primarie svelano l'inadeguatezza delle scelte» dei gruppi dirigenti dei democratici.
«I miei vincono le primarie dalle secondarie», scherza Vendola accennando alla «marginalità istituzionale» del suo partito che al momento non ha rappresentanza parlamentare. Lo ripete anche ai lavoratori del polo elettronico aquilano, con i quali si intrattiene prima dell'incontro pubblico. Lavoratori rimasti senza lavoro e senza pensione a causa della riforma Fornero.
Dice Vendola: «Ci hanno detto che siamo affetti da buonismo sociale. Ma difendere i diritti dei lavoratori è un fatto di civiltà che qualcuno sta cancellando».
Gli chiedono: Enrico Letta ha dato il voto 8 e mezzo a Monti. Tu che voti gli dai? Vendola il voto non lo dà, ma il giudizio è «negativo». «L'Europa vista dalla Grecia fa paura. Si sta decomponendo. Dov'è l'Europa immaginata dal Manifesto di Ventotene? L'Europa che ha inventato la civiltà dei Lumi e il primato dei diritti umani?» Monti è «la variante più sobria, più illuminata, del conservatorismo che domina l'Europa. Per me il governo Monti è un governo di destra».
Una destra di cui fa parte anche l'abruzzese Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat. Vendola tira fuori il telefonino e legge il telegramma che la Fiat ha inviato ai tre sindacalisti della Fiom di Melfi licenziati e reintegrati dal giudice: «"Restate a casa". Finalmente abbiamo scoperto che c'è un giudice a Potenza», è il commento di Vendola. «Naturalmente la Fiat e il suo manager si ritengono il giudice della vita e della morte del pianeta intero e quindi non ritengono di dover essere ossequiosi nei confronti della sentenza a Potenza».
È proprio partendo dalla sentenza di Potenza che l'articolo 18 va difeso, insiste Vendola. «L'articolo 18 è diventato il simbolo della civiltà di questo paese. Quando Monti dice che non puo essere un tabù, io dico: ha ragione il premier, l'articolo 18 non può essere un tabù infatti bisogna estenderlo a tutti».
«Credo», prosegue il leader di Sel, «che chi si è accanito ideologicamente a dipingere l'articolo 18 come un ostacolo alla capacità di attrarre investimenti, chi ha raccontato questa leggenda metropolitana oggi debba sapere che non c'è possibilità di costruire un compromesso possibile su questo terreno. Il mondo del lavoro non può vedersi scippato l'articolo 18, non possiamo consentire che passi una idea barbarica della modernità fatta con la museruola messa sulla bocca dei lavoratori e delle lavoratrici». E poi, aggiunge da presidente della Regione Puglia, «per quello che mi riguarda l'articolo 18 non ha impedito nella mia regione investimenti che stanno giungendo dalle più importanti multinazionali straniere».
© RIPRODUZIONE RISERVATA