Sisma, ecco chi non si fidò della "Grandi rischi"«Salvi perché non credemmo alla Protezione civile»

Centinaia di persone la notte del sei aprile decisero di dormire fuori casa e si salvarono. Non credettero alle rassicurazioni date dalla commissione Grandi rischi che, una settimana prima del 6 aprile, aveva previsto che il terremoto non ci sarebbe stato. Ora i sette membri della comitato sono stati rinviati a giudizio e dovranno rispondere di omicidio colposo

PAGANICA. La notte fra il 5 e il sei aprile del 2009 molti aquilani, soprattutto dopo la scossa avvenuta intorno a mezzanotte, decisero che non era il caso di restare in casa. Centinaia di persone si sono salvate perché non hanno creduto alle rassicurazioni della commissione Grandi rischi che una settimana prima aveva «previsto» che il terremoto non ci sarebbe stato. La richiesta di rinvio a giudizio per i componenti di quella commissione ha risvegliato i ricordi di quella triste notte.

Due giorni fa sono capitato a Paganica. Patrizia e Antonio con i loro sei figli avevano invitato a cena alcuni amministratori del Comune di Corte Franca (7.000 abitanti), nel bresciano, sul lago di Iseo. Un modo per ringraziare loro ma anche i tanti volontari che, da Brescia, sono arrivati a Paganica dopo il terremoto.

C'erano il sindaco Giuseppe Fogazzi e gli assessori Massimo Bonardi e Alberto Luciano e numerosi volontari della Protezione civile. Patrizia e Antonio abitavano a Paganica, nel rione Colle, nel centro storico della frazione più grande del Comune dell'Aquila. Patrizia ha ripercorso, parlando con i suoi ospiti, le ore che precedettero la scossa delle 3,32. Un racconto fatto tante volte negli ultimi 16 mesi. Un racconto che in ogni passaggio non nasconde la rabbia e l'indignazione verso chi nella settimana che ha preceduto la tragedia non fece che da un lato rassicurare e dall'altro screditare coloro che invece cercavano di far passare un messaggio quantomeno di allerta. Patrizia e i suoi ex vicini di casa del rione Colle riferiscono di come decisero di passare la notte chi in un furgone e chi nelle macchine. C'erano persone di Paganica, fra cui Patrizia, le quali avevano contatti con una collaboratrice di Giampaolo Giuliani, il ricercatore che aveva elementi per affermare che stava per arrivare una scossa molto forte che avrebbe interessato L'Aquila. Quella collaboratrice, facendo filtrare informazioni che derivavano proprio dai dati in possesso di Giuliani, aveva invitato tutte le persone che conosceva o che era in grado di raggiungere a non restare in casa per quella notte. In un baleno l'invito a uscire fece il giro delle famiglie del rione Colle. E così molti decisero di prendere le loro auto, parcheggiarle in uno spiazzo a ridosso del paese e provare a dormire: scomodi ma almeno tranquilli. Il racconto si fa inquietante quando alcuni amici di Patrizia riferiscono di persone (che non avevano un ruolo istituzionale preciso) che intorno alle 2 della notte sollecitarono lo sgombero immediato dell'area occupata dalle macchine: «Tornatevene a casa, lasciate libero il passaggio, se accade qualcosa non potrà passare nemmeno una ambulanza». Alle 3,32, quando arrivò la scossa devastrice, le auto - e persino il furgone - furono letteralmente sbalzate in aria. Nelle parole di chi non potrà mai dimenticare quella notte, rivivono le immagini di muri che si piegano, di strade con l'asfalto che si contorce come le onde del mare, del boato fortissimo, dell'abbaiare di cani a far da colonna sonora a quella che appariva un'apocalisse. Nel racconto non c'è solo il prima e il durante. Ma anche il dopo. I minuti successivi furono quelli dello smarrimento e della consapevolezza che qualcosa di drammatico era accaduto. E allora ecco che si inizia a fare la conta delle persone che mancano, si cerca di individuare un grido, un lamento. Ci si improvvisa Protezione civile. Sì, ci si improvvisa, perché nelle 5-6 ore che hanno seguito la scossa non è arrivata una indicazione, una direttiva, su dove andare e che cosa fare. "L'ordine" di recarsi nei pressi del campo sportivo di Paganica è stato dato con il passaparola avviato da chi era riuscito a mantenere un minomo di lucidità. E questo spazza via anche tanta retorica sugli aiuti giunti quasi in tempo reale. Basta guardare le foto, fatte dall'alto, dei centri più colpiti per capire che alle 9,30-10 del mattino i soccorsi erano arrivati in maniera del tutto scoordinata e soprattutto in maniera insufficiente rispetto alle necessità. Naturalmente su questo si discuterà a lungo e ci saranno versioni contrastanti. Purtroppo nessuno potrà più raccogliere il parere di chi sotto le macerie ci è rimasto. Ma non solo a Paganica ci furono persone che non diedero retta alla commissione Grandi Rischi e si fidarono più del loro istinto che di una scienza ufficiale che rispetto ai terremoti si dichiara ancora oggi impotente. A Tempera, uno dei borghi letteralmente cancellati, decine di persone quella notte si erano radunate nella piazzetta del paese. «Altre» ricorda oggi Rosanna Scimia presidente della Tempera Onlus «avevano deciso di allontanarsi dalla frazione dopo aver chiesto ospitalità in case più sicure di amici e parenti». Durante l'incontro con gli amministratori di Corte Franca si è aggiunto agli ospiti anche Giampaolo Giuliani. Il ricercatore, guardato in cagnesco dalla scienza ufficiale, ha raccontato come passò la notte fra il cinque e sei aprile. Tutti i suoi dati (misurazione del radon, frequenza e intensità delle scosse e altri elementi) convergevano sul fatto che una scossa fra il quinto e sesto grado della Richter non solo era possibile ma altamente probabile. Giuliani ha raccontato della sua impotenza: dopo essere finito sotto inchiesta per procurato allarme e essere stato messo all'indice dalla Protezione civile non poteva più diffondere i dati in suo possesso e doveva evitare di telefonare per dare l'eventuale allerta persino ad amici e familiari. Giuliani ha scritto la sua vicenda in un libro già uscito e in un altro che sta per uscire. Gli ho chiesto solo se aveva una idea di quanta gente quella notte si era salvata dando ascolto in qualche modo alle sue preoccupazioni. Mi ha risposto: alcune centinaia. Su quanto è avvenuto in quelle ore convulse sarà la magistratura a fare chiarezza. Sotto inchiesta sono finiti: Franco Barberi,vicario della commissione Grandi rischi, il professor Bernardo De Bernardinis, già vice capo della Protezione civile, unico indagato abruzzese essendo originario di Ofena, Mauro Dolce direttore dell'ufficio prevenzione della Protezione civile, Enzo Boschi presidente dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, Giuliano Selvaggi direttore del Centro nazionale terremoti dell'Ingv, Gian Michele Calvi, sismologo e direttore dell Eucentre di Pavia, «padre» del Progetto case e Claudio Eva ordinario di fisica dell'Università di Genova. Quella notte in tanti non si fidarono di quanto emerse nella tristemente famosa riunione del 31 marzo. Io, purtroppo, mi fidai.

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