Soldi per la ricostruzione Pochi e con un iter caotico

Ettore Di Cesare: bloccata la procedura attraverso la Cassa depositi e prestiti con il contributo diretto la liquidazione dei finanziamenti tarderà di anni

L’AQUILA. «In questi giorni si decide il futuro della ricostruzione e vogliamo che sia fatto tutto alla luce del sole».

Ettore Di Cesare, capogruppo di Appello per L’Aquila in consiglio comunale, lancia un monito al sindaco Cialente.

Di Cesare in particolare porta all’attenzione un problema forse sottaciuto ma che rischia di modificare in modo radicale le modalità e i tempi della ricostruzione. «Secondo le ultime dichiarazioni del governo, nella persona del ministro Barca, l’intenzione è quella di passare dal contributo agevolato a quello diretto per la ricostruzione degli immobili. E questo nasconde insidie che potrebbero avere conseguenze drammatiche» sottolinea il rappresentante di Appello per L’Aquila . Fino ad oggi il proprietario di una casa inagibile presentava il suo progetto alla filiera Fintecna-Reluis-Cineas, poi la pratica passava al Comune, e una volta esaminata positivamente, il titolare del progetto otteneva dal Sindaco il provvedimento con la cifra riconosciuta per la sistemazione dell'immobile. Il proprietario si poteva così recare in banca per aprire un conto bloccato dove venivano versati i soldi del contributo. Quei soldi arrivavano dalla Cassa depositi e prestiti (Cdp). Ora però ministro Barca ha detto testualmente nella sua audizione in consiglio comunale: «Nella Cassa non c’è più un euro, e non ci sarà mai più e i rifinanziamenti arriveranno come rialimentazione di un capitolo di bilancio». All’Emilia Romagna la Cassa ha invece destinato 12 miliardi, per L’Aquila e il cratere più nulla. «L’unica cosa che ha funzionato finora era l’erogazione dei contributi tramite finanziamento agevolato», ha sottolineato Di Cesare. «Le imprese lavoravano tranquille sapendo che lo stato di avanzamento dei lavori sarebbe stato pagato subito perché, con il finanziamento agevolato, i soldi erano già in banca». Oggi il governo si orienta verso il contributo diretto: il Comune valuta lo stato di avanzamento lavori, rendiconta allo Stato e attende il trasferimento dei soldi. Il meccanismo, che rischia di provocare il “collasso” della macchina amministrativa, richiede tempi molti lunghi: «Molte imprese, soprattutto quelle più piccole, con il ritardo del pagamento rischiano di fallire, con il conseguente blocco della ricostruzione. E la beffa sarà per i cittadini, infatti se i lavori vanno oltre il limite consentito si perdono tutti i diritti di assistenza (Case, Map o fondo immobiliare)». Del contributo diretto hanno fatto già esperienza molti cittadini e alcune ditte che hanno ricostruito case: da più di un anno sono ancora in attesa di essere pagate. Un altro problema che Di Cesare evidenzia è il rischio di vedere impegnate nella ricostruzione solo grandi ditte, quelle con coperture finanziare alle spalle «grandi gruppi che darebbero tutto in subappalto». Con il contributo diretto lo Stato trasferirà al Comune, annualmente, una parte dei soldi dell’impegno di spesa stanziato per la ricostruzione: «Questo significa», dice Di Cesare, «che, se per il prossimo anno sono approvati progetti per un totale, ad esempio, di 100 euro e lo Stato decide di trasferire 50 euro, molte pratiche slitteranno». Di Cesare chiede all’amministrazione comunale un impegno chiaro: «Ci dica quali sono le intenzioni: con il cambio di modalità di erogazione del contributo c’è chi sarà finanziato prima e chi dopo. Si faccia luce su come saranno stabilite le priorità di ricostruzione. Si apra un dibattito pubblico e trasparente sulle scelte da compiere».

Barbara Bologna

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