Sulmona, il vescovo Spina dice no al casinò
Intervista al presule che si dice contrario anche agli impianti inquinanti
SULMONA. No a impianti impattanti o progetti avveniristici come il casinò e le due torri. Sì all'aglio rosso, all'artigianato locale, al turismo, alla cultura, alle bellezze architettoniche e naturalistiche. A un anno dalla visita del papa, il vescovo Angelo Spina, parla di Sulmona come una città senza una vocazione precisa e indica nel messaggio di fede e speranza lanciato da Benedetto XVI la strada da seguire per rinascere. Un progetto unitario di rilancio, che punti sull'economia ecosostenibile, è per il vescovo la chiave di volta contro la crisi economica e la perdita di più di 3.000 posti di lavoro negli ultimi anni.
Eccellenza, di cosa ha bisogno la città?
«Qui manca una progettualità comune, unitaria. Non servono singoli programmi che viaggiano su strade diverse e che non si incontrano. Bisogna puntare sull'economia sostenibile, sui prodotti tipici, come l'aglio rosso o l'artigianato locale, escludendo impianti troppo impattanti».
Si riferisce forse all'inceneritore, al metanodotto e alla centrale del gas?
«Non voglio che le mie parole vengano fraintese e vorrei evitare di provocare qualsiasi polemica. Ma non credo che progetti troppo avveniristici rappresentino una soluzione per una città che ha la sua forza nelle sue bellezze naturali e architettoniche.
Come giudica dunque il tanto discusso progetto del casinò, lanciato dall'amministrazione comunale per il rilancio dell'economia?
«Credo che iniziative del genere non siano risolutive. Senza contare anche il degrado morale che potrebbero portare e gli altri problemi che potrebbero arrecare alle famiglie già in difficoltà».
Su cosa bisognerebbe puntare secondo lei?
«Sul turismo, la cultura, le bellezze architettoniche e naturalistiche della zona, oltre che i prodotti tipici. Non c'è bisogno di pensare a cose improbabili o inesistenti, basterebbe valorizzare quello che c'è. Ce l'ho ha detto anche lo stesso Papa su cosa puntare: su quello che abbiamo, che andrebbe valorizzato».
A cosa si riferisce?
«Un eremo e un'abbazia come quelli che abbiamo qui non ce li ha nessuno. Sono due strutture che danno significato a un intero territorio, che lo caratterizzano e che lo qualificano. E che soprattutto possono attirare tante persone».
Cosa pensa della chiusura prolungata dell'Eremo di Celestino V?
«Sono d'accordo con la necessità di fare controlli e interventi per tutelare la sicurezza delle persone. Certo credo che vada riaperto quanto prima, visto che si tratta di un luogo di ritrovo spirituale bellissimo. È necessario attivarsi per farlo, anche se l'impegno c'è stato e sta continuando in tal senso».
Il Papa ha portato in piazza Garibaldi 15mila persone. Ma non sono mancate le polemiche.
«Rivedere la rassegna di una settimana in cui Sulmona è stata al centro della stampa nazionale e estera mi riempie di gioia. La città è andata a finire sulle pagine e nei telegiornali dei più importanti organi di informazione del Paese. Ma anche sui giornali spagnoli, inglesi, americani e canadesi. Certo mi spiace quando mi trovo a scorrere le pagine locali, in cui si faceva riferimento alle spese e alla città blindata. Qui non si è capito e non si sono fatti i conti con la fatica che è stata fatta per far arrivare il Papa e con il notevole sforzo organizzativo che un evento del genere comporta. Forse descrivere una città blindata a pochi giorni dalla visita non ha aiutato, ma quello che conta è che la città si è fatta conoscere al mondo«.
Non sono mancate le polemiche anche sui soldi spesi per l'occasione.
«La Diocesi ha coperto l'intera visita, senza avere contributi o fare debiti. Sapevamo bene l'importo delle spese a cui saremmo andati incontro e le abbiamo coperte con molta tranquillità. Abbiamo speso più di 325mila euro per l'organizzazione dell'evento. Più di 186mila euro sono state recuperate con donazioni ricevute da banche, associazioni e privati. Abbiamo anche consegnato 200mila euro che come al Papa per un ospedale da costruire in Africa. Anche i lavori sulle strade fatti dal Comune sono opere delle quali i cittadini potranno beneficiare anche negli anni venire. Per cui il bilancio non può che essere positivo».
A un anno di distanza, qual è stato il vero senso della visita del Papa? Cos'è rimasto dell'evento?
«La visita pastorale ha rimesso al centro il carattere spirituale dell'evento. Il Papa si è fatto voce delle difficoltà di un territorio, rimettendo sotto i riflettori e sotto gli occhi di chi ha responsabilità in tal senso i problemi economici e occupazionali di un'intera zona. La fede dà senso alla vita e ci dà la forza di amare e di andare avanti anche e soprattutto nei momenti difficili. Si è trattato di un evento straordinario il cui ricordo e messaggio saranno validi per sempre. Certo non ha rappresentato la bacchetta magica ai mali di questa zona, ma ci ha comunque fornito una chiave interpretativa per risolvere i problemi. La chiave sta nella visione di insieme e una progettualità comune».
La mancanza di lavoro e la crisi economica restano i due principali problemi del territorio. C'è una via di uscita?
«Io sono convinto della necessità di un progetto comune, come dicevo prima. Ma occorre che si diano da fare tutti e che le istituzioni, la politica, il mondo sociale e civile si assumano le loro responsabilità. Si deve anche capire quale strategia vuole mettere in campo la Regione nei confronti delle aree interne. La Diocesi è spesso meta di richieste di aiuto da parte di famiglie, dove uno dei coniugi ha perso il lavoro. Ma soprattutto da parte di giovani coppie, con o senza figli, che non riescono a trovare un'occupazione e che spesso non possono guardare con serenità al loro futuro».
Confida sul futuro della città e su una sua ripresa?
«Sì lo sono. Basti pensare alla riapertura delle chiese danneggiate da sisma, all'inaugurazione del museo dedicato al Papa e all'iniezione di fiducia e fede che ci ha lasciato. Il Papa è stato con noi e fra di noi, si è fatto portavoce della crisi di questo territorio e ci ha detto di uscirne tramite la forza della fede. Una speranza concreta di rigenerazione, che ha portato tanta gente in città».
Cosa cambierebbe?
«Forse bisognerebbe cambiare un pochino la mentalità, non fossilizzarsi sulle piccole cose e non ragionare l'uno contro l'altro, ma assieme per uscire dalla crisi e dalla situazione di stallo».
Sulmona è il borgo più felice d'Abruzzo secondo una recente ricerca di un istituto veneto, che si basava soprattutto su indicatori legali all'ambiente, alla qualità della vita e alle relazioni sociali. Secondo lei è un dato credibile?
«Questa città ha moltissime potenzialità da sviluppare. Le occorrono però delle piccole cure e ognuno di noi deve fare il suo dovere, nel suo piccolo. Lo stare insieme, il ragionare assieme, come ci ha detto il Papa, sono delle vitamine potenti per stare meglio. Io amo Sulmona come una sposa, mi ci dedico con amore da quattro anni. Anche se non sempre il mio sentimento è stato ricambiato. Ma il mio amore è rimasto sempre lo stesso anzi cresce sempre più. Credo che questa città abbia tutte le carte in regola per rinascere e per dare maggiori speranze alle famiglie, ai giovani, agli anziani e a chi è in difficoltà».
Eccellenza, di cosa ha bisogno la città?
«Qui manca una progettualità comune, unitaria. Non servono singoli programmi che viaggiano su strade diverse e che non si incontrano. Bisogna puntare sull'economia sostenibile, sui prodotti tipici, come l'aglio rosso o l'artigianato locale, escludendo impianti troppo impattanti».
Si riferisce forse all'inceneritore, al metanodotto e alla centrale del gas?
«Non voglio che le mie parole vengano fraintese e vorrei evitare di provocare qualsiasi polemica. Ma non credo che progetti troppo avveniristici rappresentino una soluzione per una città che ha la sua forza nelle sue bellezze naturali e architettoniche.
Come giudica dunque il tanto discusso progetto del casinò, lanciato dall'amministrazione comunale per il rilancio dell'economia?
«Credo che iniziative del genere non siano risolutive. Senza contare anche il degrado morale che potrebbero portare e gli altri problemi che potrebbero arrecare alle famiglie già in difficoltà».
Su cosa bisognerebbe puntare secondo lei?
«Sul turismo, la cultura, le bellezze architettoniche e naturalistiche della zona, oltre che i prodotti tipici. Non c'è bisogno di pensare a cose improbabili o inesistenti, basterebbe valorizzare quello che c'è. Ce l'ho ha detto anche lo stesso Papa su cosa puntare: su quello che abbiamo, che andrebbe valorizzato».
A cosa si riferisce?
«Un eremo e un'abbazia come quelli che abbiamo qui non ce li ha nessuno. Sono due strutture che danno significato a un intero territorio, che lo caratterizzano e che lo qualificano. E che soprattutto possono attirare tante persone».
Cosa pensa della chiusura prolungata dell'Eremo di Celestino V?
«Sono d'accordo con la necessità di fare controlli e interventi per tutelare la sicurezza delle persone. Certo credo che vada riaperto quanto prima, visto che si tratta di un luogo di ritrovo spirituale bellissimo. È necessario attivarsi per farlo, anche se l'impegno c'è stato e sta continuando in tal senso».
Il Papa ha portato in piazza Garibaldi 15mila persone. Ma non sono mancate le polemiche.
«Rivedere la rassegna di una settimana in cui Sulmona è stata al centro della stampa nazionale e estera mi riempie di gioia. La città è andata a finire sulle pagine e nei telegiornali dei più importanti organi di informazione del Paese. Ma anche sui giornali spagnoli, inglesi, americani e canadesi. Certo mi spiace quando mi trovo a scorrere le pagine locali, in cui si faceva riferimento alle spese e alla città blindata. Qui non si è capito e non si sono fatti i conti con la fatica che è stata fatta per far arrivare il Papa e con il notevole sforzo organizzativo che un evento del genere comporta. Forse descrivere una città blindata a pochi giorni dalla visita non ha aiutato, ma quello che conta è che la città si è fatta conoscere al mondo«.
Non sono mancate le polemiche anche sui soldi spesi per l'occasione.
«La Diocesi ha coperto l'intera visita, senza avere contributi o fare debiti. Sapevamo bene l'importo delle spese a cui saremmo andati incontro e le abbiamo coperte con molta tranquillità. Abbiamo speso più di 325mila euro per l'organizzazione dell'evento. Più di 186mila euro sono state recuperate con donazioni ricevute da banche, associazioni e privati. Abbiamo anche consegnato 200mila euro che come al Papa per un ospedale da costruire in Africa. Anche i lavori sulle strade fatti dal Comune sono opere delle quali i cittadini potranno beneficiare anche negli anni venire. Per cui il bilancio non può che essere positivo».
A un anno di distanza, qual è stato il vero senso della visita del Papa? Cos'è rimasto dell'evento?
«La visita pastorale ha rimesso al centro il carattere spirituale dell'evento. Il Papa si è fatto voce delle difficoltà di un territorio, rimettendo sotto i riflettori e sotto gli occhi di chi ha responsabilità in tal senso i problemi economici e occupazionali di un'intera zona. La fede dà senso alla vita e ci dà la forza di amare e di andare avanti anche e soprattutto nei momenti difficili. Si è trattato di un evento straordinario il cui ricordo e messaggio saranno validi per sempre. Certo non ha rappresentato la bacchetta magica ai mali di questa zona, ma ci ha comunque fornito una chiave interpretativa per risolvere i problemi. La chiave sta nella visione di insieme e una progettualità comune».
La mancanza di lavoro e la crisi economica restano i due principali problemi del territorio. C'è una via di uscita?
«Io sono convinto della necessità di un progetto comune, come dicevo prima. Ma occorre che si diano da fare tutti e che le istituzioni, la politica, il mondo sociale e civile si assumano le loro responsabilità. Si deve anche capire quale strategia vuole mettere in campo la Regione nei confronti delle aree interne. La Diocesi è spesso meta di richieste di aiuto da parte di famiglie, dove uno dei coniugi ha perso il lavoro. Ma soprattutto da parte di giovani coppie, con o senza figli, che non riescono a trovare un'occupazione e che spesso non possono guardare con serenità al loro futuro».
Confida sul futuro della città e su una sua ripresa?
«Sì lo sono. Basti pensare alla riapertura delle chiese danneggiate da sisma, all'inaugurazione del museo dedicato al Papa e all'iniezione di fiducia e fede che ci ha lasciato. Il Papa è stato con noi e fra di noi, si è fatto portavoce della crisi di questo territorio e ci ha detto di uscirne tramite la forza della fede. Una speranza concreta di rigenerazione, che ha portato tanta gente in città».
Cosa cambierebbe?
«Forse bisognerebbe cambiare un pochino la mentalità, non fossilizzarsi sulle piccole cose e non ragionare l'uno contro l'altro, ma assieme per uscire dalla crisi e dalla situazione di stallo».
Sulmona è il borgo più felice d'Abruzzo secondo una recente ricerca di un istituto veneto, che si basava soprattutto su indicatori legali all'ambiente, alla qualità della vita e alle relazioni sociali. Secondo lei è un dato credibile?
«Questa città ha moltissime potenzialità da sviluppare. Le occorrono però delle piccole cure e ognuno di noi deve fare il suo dovere, nel suo piccolo. Lo stare insieme, il ragionare assieme, come ci ha detto il Papa, sono delle vitamine potenti per stare meglio. Io amo Sulmona come una sposa, mi ci dedico con amore da quattro anni. Anche se non sempre il mio sentimento è stato ricambiato. Ma il mio amore è rimasto sempre lo stesso anzi cresce sempre più. Credo che questa città abbia tutte le carte in regola per rinascere e per dare maggiori speranze alle famiglie, ai giovani, agli anziani e a chi è in difficoltà».
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