Trecento
Prima sono stati i numeri. Dieci, venti, trenta, cento, duecento. Le cifre che aumentavano ora dopo ora misuravano l'effetto devastante della scossa delle 3,32 e davano la dimensione del dramma agli abruzzesi, agli italiani, a tutto il mondo. Poi, come allargandosi in cerchi concentrici che sono andati estendendosi dalla frazione alla città e a tutti, i numeri sono diventati nomi, i nomi volti. Adesso numeri, nomi e volti stanno diventando quello che saranno per sempre.
Trecento storie (questa è la cifra ufficiale dei morti fino a sabato sera) di trecento persone che hanno smesso di vivere quasi tutte alla stessa ora. Persone che non si conoscevano l'una con l'altra o uomini e donne legati da parentela, amicizia, amore.
«Per questo», mi ha spiegato ieri mattina Luigi Vicinanza, il direttore di questo giornale, «ho deciso di fare una prima pagina così, con le foto di chi non c'è più. Un omaggio a loro e un monito a noi».
Eccoli, i morti del 6 aprile. Sfilano davanti a noi con i loro sorrisi e con le occhiate di chi si aspetta ancora tanto dalla vita. Ma la vita non gli può dare più niente.
La comunità nella quale sono cresciuti o che li ha accolti può però fare molto perché la loro memoria non vada persa e il loro sacrificio possa almeno dare un po' di serenità a chi è rimasto e a chi verrà dopo di loro.
Sono impegni semplici, ma che è bene ripetersi.
Il primo impegno verso i Trecento è non dimenticarli e penso sia giusto che ciascuno dia il proprio contributo. Il Centro ha deciso nei giorni scorsi di dedicare un monumento virtuale ai Trecento. E' stato costruito negli Stati Uniti dopo le Torri Gemelle, a Madrid dopo gli attentati alla metropolitana. Oggi in Abruzzo. Un luogo della memoria incardinato nelle pagine internet del giornale dedicato alle storie di ciascuno. La foto, una testimonianza, un particolare di vita. E tutti possono intervenire, scrivere il proprio ricordo, inviare la foto che amano. E' una memoria che non andrà dispersa.
Il secondo impegno verso i Trecento è rispondere alla domanda «perché?». Quelle case che si sono accartocciate, quella sabbia che non ci doveva essere, quel cemento armato corroso. Un ospedale appena costruito che crolla, una Casa dello studente che sparisce. Le inchieste dovranno essere rigorose. Non per trovare colpevoli a tutti i costi, ma perché venga fatta giustizia.
Il terzo impegno è anche verso chi è sopravvissuto al 6 aprile. Che le case tornino su presto e bene. Si discuta pure di come e dove vanno fatte. Politici, tecnici e cittadini si confrontino. Però su due punti non ci dovrà essere discussione. Che siano fatte a regola d'arte secondo le più moderne tecnologie e che nessuno, ma proprio nessuno, speculi sulla ricostruzione. Vigilare che tutto fili liscio è compito della polizia e della magistratura ma anche di tutta la comunità abruzzese.
Trecento storie (questa è la cifra ufficiale dei morti fino a sabato sera) di trecento persone che hanno smesso di vivere quasi tutte alla stessa ora. Persone che non si conoscevano l'una con l'altra o uomini e donne legati da parentela, amicizia, amore.
«Per questo», mi ha spiegato ieri mattina Luigi Vicinanza, il direttore di questo giornale, «ho deciso di fare una prima pagina così, con le foto di chi non c'è più. Un omaggio a loro e un monito a noi».
Eccoli, i morti del 6 aprile. Sfilano davanti a noi con i loro sorrisi e con le occhiate di chi si aspetta ancora tanto dalla vita. Ma la vita non gli può dare più niente.
La comunità nella quale sono cresciuti o che li ha accolti può però fare molto perché la loro memoria non vada persa e il loro sacrificio possa almeno dare un po' di serenità a chi è rimasto e a chi verrà dopo di loro.
Sono impegni semplici, ma che è bene ripetersi.
Il primo impegno verso i Trecento è non dimenticarli e penso sia giusto che ciascuno dia il proprio contributo. Il Centro ha deciso nei giorni scorsi di dedicare un monumento virtuale ai Trecento. E' stato costruito negli Stati Uniti dopo le Torri Gemelle, a Madrid dopo gli attentati alla metropolitana. Oggi in Abruzzo. Un luogo della memoria incardinato nelle pagine internet del giornale dedicato alle storie di ciascuno. La foto, una testimonianza, un particolare di vita. E tutti possono intervenire, scrivere il proprio ricordo, inviare la foto che amano. E' una memoria che non andrà dispersa.
Il secondo impegno verso i Trecento è rispondere alla domanda «perché?». Quelle case che si sono accartocciate, quella sabbia che non ci doveva essere, quel cemento armato corroso. Un ospedale appena costruito che crolla, una Casa dello studente che sparisce. Le inchieste dovranno essere rigorose. Non per trovare colpevoli a tutti i costi, ma perché venga fatta giustizia.
Il terzo impegno è anche verso chi è sopravvissuto al 6 aprile. Che le case tornino su presto e bene. Si discuta pure di come e dove vanno fatte. Politici, tecnici e cittadini si confrontino. Però su due punti non ci dovrà essere discussione. Che siano fatte a regola d'arte secondo le più moderne tecnologie e che nessuno, ma proprio nessuno, speculi sulla ricostruzione. Vigilare che tutto fili liscio è compito della polizia e della magistratura ma anche di tutta la comunità abruzzese.