Trovati gli ultimi due corpila gru demolisce la palazzina-scandalo
L'AQUILA. Il libro delle presenze della Casa dello studente è fra le macerie e ha una copertina rosa. L'ultima data è quella di domenica 5: Esposito Francesco firma l'ingresso alle ore 24. Di lì a tre ore e mezza quel palazzo di quattro piani si muove, barcolla e si sbriciola diventando la tomba di 11 ragazzi. Gli ultimi due corpi sono stati trovati ieri dopo 76 ore. Francesco Esposito è nell'elenco dei morti.
I sogni e i progetti di Luca Linari, 20 anni, di Rieti, padre di una bambina di 7 mesi, di Luciana Capuano, 19, di San Giovanni Rotondo, di Davide Centofanti, 22, di Vasto e, ancora, di Elvio, Francesca, Chiara, Alessio e di altri tre loro compagni, sono sepolti in XX Settembre per sempre.
Giù tutto. L'ultimo colpo lo dà un'enorme gru fatta arrivare da Bolzano dall'Associazione demolitori. Della palazzina in mattoni e cemento, alta una ventina di metri, lunga una cinquantina e composta da tre edifici, ora si vedono i frammenti sfilacciati in ferro, traverse spezzate, le camere sventrate i letti, perfino i calendari che erano stati attaccati ai muri. Ovunque polvere, desolazione. E finalmente silenzio, come se questo posto fosse diventato un sacrario in una città martoriata da un bombardamento.
Come a Beirut. Ma qui le bombe non ci sono state e la rabbia affiora dal cumulo di macerie quando una ragazza, che si è salvata perché aveva deciso di trascorrere la notte fuori, denuncia in tv che nella Casa non c'era un piano di fuga e non esistevano porte di sicureza; monta, la rabbia, quando i vigili del fuoco raccontano che hanno trovato il corpo di uno studente israeliano, che dormiva al quarto piano, nelle sala mensa che si trovava al piano interrato; sale, la rabbia, quando fra i libri recuperati nelle stanze spuntano le dispense sui laterizi di qualcuno che studiava Ingegneria e che, probabilmente, domani avrebbe realizzato una casa più sicura di questa.
«Cemento inadeguato e inadatto a fronteggiare un sisma», sentenzia il sindaco di Roma Gianni Alemanno forte dei pareri dei suoi tecnici. «E' venuta giù un'ala dalle fondamenta, cosa inconcepibile con cemento armato», rincara la dose l'ex direttore dell'assessorato regionale all'Urbanistica, l'architetto Antonio Perrotti. E così la Casa-sacrario diventa il secondo scandalo di questo sisma, dopo quello del nuovo ospedale San Salvatore, costato miliardi, aperto dopo trent'anni e dichiarato inagibile.
«Il corpo centrale dell'edificio è andato in compressione a causa dell'onda sismica, ha oscillato, sono crollati i solai di collegamento che si sono tirati dietro muri e pavimenti delle camere dei ragazzi», è la descrizione tecnica su quanto successo di Gabriele Miconi, ingegnere e funzionario dei vigili del fuoco dell'Aquila.
Gli angeli. Per tre giorni le squadre di soccorso - l'Usar di Pisa con le sonde visive, di Milano, Varese, Lecce, Brindisi e del Saf di La Spezia - si sono alternate negli scavi senza fermarsi. Una lotta contro il tempo, nella speranza di sentire qualche lamento, di trovare i ragazzi vivi. «E' stato un calvario, scorgere un braccio, affannarsi a prenderlo, rincorrerlo sotto quelle crepe per poi scoprire che non c'era più nulla da fare; che peccato, è come se quei poveri studenti li avessimo persi tutti noi», afferma un vigile chinando la testa.
L'edificio centrale si era staccato dal resto piegandosi di circa trenta gradi e rovesciando fuori il suo contenuto: letti, mobili, suppellettili. E i corpi, precipitati nel baratro che si è aperto al centro, fino sotto la mensa.
A quel punto è stato necessario operare come in un intervento chirurgico. Tirare fuori il salvabile e poi mettere in sicurezza tutto il resto. Come? Demolendo definitivamente l'edificio maledetto. «Vuole un mio parere su come era stato costruito? Diciamo che non era un edificio fatiscente, realizzato quantomeno secondo le norme costruttive degli anni Settanta che, ad esempio, consentivano l'utilizzo di ferri lisci e non zigrinati come oggi», risponde senza sbilanciarsi l'ingegnere dell'Aquila.
Su un'aiuola viene ammucchiato ciò che resta degli affetti personali. Valigie, tante, un computer portatile piegato, scatole di accessori elettronici. C'è il peluche di un grande orsacchiotto impolverato. E accanto un cuscino a forma di cuore: "Io e te per sempre".
I sogni e i progetti di Luca Linari, 20 anni, di Rieti, padre di una bambina di 7 mesi, di Luciana Capuano, 19, di San Giovanni Rotondo, di Davide Centofanti, 22, di Vasto e, ancora, di Elvio, Francesca, Chiara, Alessio e di altri tre loro compagni, sono sepolti in XX Settembre per sempre.
Giù tutto. L'ultimo colpo lo dà un'enorme gru fatta arrivare da Bolzano dall'Associazione demolitori. Della palazzina in mattoni e cemento, alta una ventina di metri, lunga una cinquantina e composta da tre edifici, ora si vedono i frammenti sfilacciati in ferro, traverse spezzate, le camere sventrate i letti, perfino i calendari che erano stati attaccati ai muri. Ovunque polvere, desolazione. E finalmente silenzio, come se questo posto fosse diventato un sacrario in una città martoriata da un bombardamento.
Come a Beirut. Ma qui le bombe non ci sono state e la rabbia affiora dal cumulo di macerie quando una ragazza, che si è salvata perché aveva deciso di trascorrere la notte fuori, denuncia in tv che nella Casa non c'era un piano di fuga e non esistevano porte di sicureza; monta, la rabbia, quando i vigili del fuoco raccontano che hanno trovato il corpo di uno studente israeliano, che dormiva al quarto piano, nelle sala mensa che si trovava al piano interrato; sale, la rabbia, quando fra i libri recuperati nelle stanze spuntano le dispense sui laterizi di qualcuno che studiava Ingegneria e che, probabilmente, domani avrebbe realizzato una casa più sicura di questa.
«Cemento inadeguato e inadatto a fronteggiare un sisma», sentenzia il sindaco di Roma Gianni Alemanno forte dei pareri dei suoi tecnici. «E' venuta giù un'ala dalle fondamenta, cosa inconcepibile con cemento armato», rincara la dose l'ex direttore dell'assessorato regionale all'Urbanistica, l'architetto Antonio Perrotti. E così la Casa-sacrario diventa il secondo scandalo di questo sisma, dopo quello del nuovo ospedale San Salvatore, costato miliardi, aperto dopo trent'anni e dichiarato inagibile.
«Il corpo centrale dell'edificio è andato in compressione a causa dell'onda sismica, ha oscillato, sono crollati i solai di collegamento che si sono tirati dietro muri e pavimenti delle camere dei ragazzi», è la descrizione tecnica su quanto successo di Gabriele Miconi, ingegnere e funzionario dei vigili del fuoco dell'Aquila.
Gli angeli. Per tre giorni le squadre di soccorso - l'Usar di Pisa con le sonde visive, di Milano, Varese, Lecce, Brindisi e del Saf di La Spezia - si sono alternate negli scavi senza fermarsi. Una lotta contro il tempo, nella speranza di sentire qualche lamento, di trovare i ragazzi vivi. «E' stato un calvario, scorgere un braccio, affannarsi a prenderlo, rincorrerlo sotto quelle crepe per poi scoprire che non c'era più nulla da fare; che peccato, è come se quei poveri studenti li avessimo persi tutti noi», afferma un vigile chinando la testa.
L'edificio centrale si era staccato dal resto piegandosi di circa trenta gradi e rovesciando fuori il suo contenuto: letti, mobili, suppellettili. E i corpi, precipitati nel baratro che si è aperto al centro, fino sotto la mensa.
A quel punto è stato necessario operare come in un intervento chirurgico. Tirare fuori il salvabile e poi mettere in sicurezza tutto il resto. Come? Demolendo definitivamente l'edificio maledetto. «Vuole un mio parere su come era stato costruito? Diciamo che non era un edificio fatiscente, realizzato quantomeno secondo le norme costruttive degli anni Settanta che, ad esempio, consentivano l'utilizzo di ferri lisci e non zigrinati come oggi», risponde senza sbilanciarsi l'ingegnere dell'Aquila.
Su un'aiuola viene ammucchiato ciò che resta degli affetti personali. Valigie, tante, un computer portatile piegato, scatole di accessori elettronici. C'è il peluche di un grande orsacchiotto impolverato. E accanto un cuscino a forma di cuore: "Io e te per sempre".