A casa non si torna Chiude con De Stefano la rassegna “Docudì”
A Pescara il film sulle donne che svolgono lavori maschili Il regista abruzzese: «Gli asili sono fondamentali»
PESCARA. Si conclude domani, giovedì 28 giugno, all’insegna del web documentario e con una riflessione sul lavoro femminile la rassegna “Docudì, il giorno del cinema documentario”, organizzata dall’Acma (associazione cinematografica multimediale abruzzese) e dal regista Peter Ranalli. L’appuntamento, che si terrà alla libreria la Feltrinelli di Pescara, alle ore 18, prevede la proiezione del lungometraggio "A casa non si torna" (2012) di Lara Rongoni e Giangiacomo De Stefano (regista d’origine abruzzese), a cui seguirà un dibattito con gli autori, moderato da Lucia Zappacosta, esperta di linguaggi multimediali. Le protagoniste del documentario di Rongoni e De Stefano sono quelle donne che per necessità o per passione svolgono lavori diversi dal solito, in prevalenza di predominio maschile: capo cantiere, archeologa, spazzino, elettricista, camionista. Donne che non si arrendono davanti agli ostacoli imposti da una società troppo spesso ostile ai bisogni delle lavoratrici, messe a ginocchio dalla precarietà e dalla mancanza di servizi necessari per far conciliare il lavoro con la famiglia.
«Ciò che emerge dal nostro documentario è che i servizi come l’asilo nido sono fondamentali per queste donne. Ma in Italia non sono sempre garantiti», afferma De Stefano. «Non a caso nel nostro paese un’altissima percentuale di donne abbandona il lavoro dopo il primo figlio». Un’altra delle protagoniste del documentario è Franca Rame, presente con il suo spettacolo "Tutta casa, letto e chiesa", incentrato sulla repressione dei sentimenti ed emozioni delle donne. Con la sua voce l’attrice dà inoltre corpo alle immagini di animazione che ricostruiscono il processo di emancipazione femminile dall’Ottocento ai nostri giorni. "A casa non si torna" è anche uno dei primi documentari cross-mediali italiani. La versione originale del filmato è stata ripensata e trasformata per una diffusione sul web con notevole successo. «L’8 marzo di quest’anno, per la festa della donna, abbiamo lanciato il webdoc su Il Fatto Quotidiano. È una versione che puo’ essere visionata per singole clip, selezionabili scegliendo un tema o una persona specifica. Il primo giorno abbiamo avuto circa 14 mila visitatori. In una settimana più di 40 mila», afferma De Stefano. Questo nuovo modo di intendere la fruizione del documentario, che integra video, web e giornalismo, permette allo spettatore di visionare il filmato in tutta libertà, e soprattutto in modo non lineare.
«È ciò che fanno i ragazzi quando sono su internet. Questo tipo di documentario è il futuro della televisione 2.0. All’estero, in Germania e in Francia, è già molto diffuso, mentre in Italia purtroppo siamo ancora ad una fase di sperimentazione. Ma il futuro è il web. I ragazzi usano più internet che altri mezzi, è preponderante nella loro vita, quindi i prodotti filmici vanno ripensati concettualmente. Devono essere prodotti meticci strutturati che possono veicolare contenuti, storie, attraverso il web». Giangiacomo De Stefano lavora da anni a Bologna con Lara Rongoni, ma è nato ad Avezzano, dove ha vissuto fino all’età di 10 anni. È figlio nel noto giornalista Gennaro De Stefano, scomparso nel 2008, che si occupò del caso del mostro di Balsorano e che fu vittima della malagiustizia. «Ci tengo a sottolineare che sono in parte abruzzese. Sono molto legato a questa regione. Ci sono nato. Mio padre ha vissuto qui per tanti anni e mia nonna è aquilana. Torno qui sempre molto volentieri».
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