«Affare da 600 chili di cocaina» D’Attanasio condannato a 19 anni 

Il velista pescarese detenuto dal 2020 in Papua Nuova Guinea accusato di traffico internazionale di droga L’avvocato Antinucci: «Sentenza politica, capi di imputazione costruiti su basi indiziarie. Nessuna prova»

PESCARA. Un traffico da 611 chili di cocaina nascosti in 28 borsoni. Il velista pescarese Carlo D’Attanasio è stato condannato a 19 anni di carcere per narcotraffico internazionale e riciclaggio di denaro. Secondo il tribunale nazionale del carcere Bomana, D’Attanasio avrebbe voluto trasportare quel carico da 200 milioni di kina papuensi, l’equivalente di 46 milioni di euro, dalla Papua Nuova Guinea fino all’Italia seguendo una rotta transoceanica. Da 4 anni, D’Attanasio è detenuto sull’isola dell’Oceania: tra lui e Pescara ci sono 13mila chilometri e ora dovrà scontare altri 15 anni in carcere «per fatti», dice il suo avvocato Mario Antinucci, «rispetto ai quali si è sempre proclamato innocente». Insieme a D’Attanasio sono stati condannati altri 4 con pene tra 12 e 16 anni. «Una sentenza politica», secondo il legale che parla di D’Attanasio come «una vittima di persecuzione giudiziaria».
Nel 2020, D’Attanasio si trovava proprio in Papua Nuova Guinea, questa la sua versione, per il fare il giro del mondo in solitaria su una barca a vela. Ma, in quegli stessi giorni, un piccolo aereo si schiantò e fu ritrovato un maxi carico di droga destinato all’Australia: D’Attanasio, da velista, si ritrovò in arresto per traffico internazionale di cocaina, un’accusa che ha sempre contestato.
La storia del pescarese, che durante la detenzione scoprì di essere malato di tumore, aveva mobilitato anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani ed era rimbalzato alle “Iene”. «L’avvilente realtà», commenta ora il legale, «è che i capi d’imputazione sono stati costruiti su basi indiziarie, sia con riguardo al narcotraffico internazionale, sia rispetto all’ipotesi di riciclaggio di denaro». D’Attanasio è in cura al Pacific International Hospital di Port Moresby. «È stato ingiustamente accusato sulla base di indagini poliziesche di chiara marca inquisitoria», dice l’avvocato, «inutilizzabili nel giusto processo europeo se non a determinate condizioni di legalità dell’assunzione della prova. Non si è formata alcuna prova in giudizio sul fatto che il D’Attanasio abbia portato la droga in Papua Nuova Guinea. È molto grave, sul piano della violazione dei diritti umani in chiave internazionale, la circostanza che il giudice, pur avendo evidenziato in sentenza le gravissime condizioni di salute dell’imputato in pericolo di vita, non abbia tenuto nella giusta considerazione il canale diplomatico attivato in Italia attraverso il ministero degli Esteri per la consegna dello stesso al solo fine di essere sottoposto alle necessarie cure mediche in Italia. In precedenza, era stato lo stesso direttore del carcere della Papua Nuova Guinea ad aver documentato l’incompatibilità delle condizioni di salute di D’Attanasio, circostanza emersa da ultimo nel corso della recente visita pastorale di Papa Francesco nell’isola del Sud Pacifico».
La difesa del velista annuncia appello: «Subito azioneremo la procedura d’urgenza dinanzi alla Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo per la grave violazione del diritto alla vita di D’Attanasio». Antinucci parla anche di «gogna mediatico-giudiziaria» dopo una serie di articoli in cui si riporta con una nota del primo ministro James Marape «apprezzare» il lavoro della polizia: «È un fatto molto grave», conclude l’avvocato.